Archive 81: “Universi Alternativi” che mettono i brividi | Serie Tv

Archive 81 è una serie horror prodotta e distribuita da Netflix. Uscita il 14 di Gennaio 2022, si distingue subito per l’altissimo livello della sceneggiatura – Esfarjani (WandaVision), Narducci (Superman e Lois), Bleiweiss (The Vampire Diaries) – e della regia.

A dare luce, suoni e immagini agli script, infatti, ci hanno pensato:

  • Rebecca Thomas Stranger Things
  • Al-MansourMary Shelley
  • e la premiata coppia Benson/MoorheadSynchronic.

Si vede subito dalla produzione come Archive 81 sia un prodotto che prova a giocare con le regole di genere: da un horror più tradizionale, legato alle fiabe, ai racconti tradizionali, la serie si dà come campo di combattimento un genere più insolito. Fantascienza – vi ricorda qualcosa, appunto, Stranger Things?

cliffon presscod/netflix

La trama di Archive 81: le pareti

E la tecnologia si presenta subito come “elemento magico” attorno a cui ruotano tutte le vicende: il protagonista Dan Turner è un talentuoso restauratore di pellicole che viene ingaggiato da un’azienda gigantesca per un lavoro top secret.

Nastri da restaurare che nessuno dovrà mai vedere, e lavoro da svolgere in una struttura isolata, dove Dan sarà l’unico ospite. Tutto molto strano, tutto oscuro, come la fotografia, come i nastri bruciati, come le clausole del contratto che Dan firmerà.

Questo è l’incidente scatenante di Archive 81. Un oggetto che gli viene consegnato, un mistero che non potrà divulgare, una regia attenta che soppesa ogni movimento del protagonista – basti pensare alla scena in cui Dan prende in mano per la prima volta i nastri in cui lo spettatore può quasi sentire il loro peso tra le dita.

Ma la produzione (i nomi da ripetere sono troppi e non renderei giustizia a tutti se ne escludessi qualcuno) parte da questa premessa per provare a costruire qualcosa di grandioso, ignorando la durata limitata della serie – 8 episodi. Avevano in mente una storia, e l’hanno portata fino in fondo.

Le vicende infatti sono legate da salti temporali che collegano Dan a una ragazza che è vissuta molti anni prima, e ha scelto di registrare una specie di documentario – girato interamente in found footage. Si crea così un cortocircuito tra la staticità di Dan, chiuso in un posto isolato a restaurare nastri, e il dinamismo della ragazza, Melody, che interroga gli inquietanti coinquilini di un condominio (vi ricorda per caso un certo Rosemary’s Baby?)

Salti temporali che si reggono su 8 episodi, quindi, e vicende che portano piano piano alla scoperta di qualcosa di nuovo, di ultraterreno. Le pareti ci sono, la casa si può costruire. Ma in alcuni punti le ambizioni di Archive 81 sembrano schiacciare un po’ i muri della costruzione: qualche personaggio equivoco di troppo, qualche aggiunta di mistero che si perde. La quadratura del cerchio non è perfetta.

Mancanze che abbassano in maniera decisiva la qualità del prodotto? Assolutamente no.

La vera novità di Archive 81 sono i diversi strumenti mediali: il pavimento

Perché se una cosa ci ricorderemo sempre di questa serie è l’uso fantasioso dei diversi media che registi e sceneggiatori usano per raccontare una storia: la telecamera tradizionale, quella fisica, ma anche quella interna alla storia di Melody – una metaripresa – e ancora la musica, i quadri.

Gli strumenti utilizzati per costruire la serie sono tanti, e usati con intelligenza: dal found footage a inquadrature che indugiano sui dipinti lo spettatore viene sommerso (senza accorgersene) da tanti stimoli diversi, che lo tengono sempre sull’attenti, proprio come i colpi di scena della trama.

Anche la fotografia li aiuta in questo: i colori spenti si incastrano bene con la qualità video tipica degli anni ’90 (gli anni delle riprese di Melody), ma creano anche l’ambiente perfetto per lasciare spazio a tutti gli elementi di emergere. Pensate a un salto continuo nel passato, alle stanze claustrofobiche di un condominio con un misterioso critico d’arte e i quadri che lo circondano, con colori accesi.

La fotografia di Archive 81 fa la cosa giusta: scompare. E lascia spazio a tutto il resto.

This is an image from “Archive 81” streaming on Netflix

I personaggi: i mobili

Spettatori e attori, osservatori e interpreti della stessa indagine a distanza di anni.

Archive 81 si prende il suo tempo per fare tutto, per conoscerli, accarezzarli (memorabili i sorrisi di Melody alla telecamera) e terrorizzarli a morte. Lo spazio che la produzione lascia loro è tanto, forse in alcuni momenti anche troppo, ma loro se lo prendono tutto, con personalità così forti da esondare la storia, riempire le inquadrature.

E se Archive 81 fa così paura, forse il merito va anche al legame che lo spettatore instaura con i protagonisti. Protagonisti che soffrono, si spaventano, pensano. E lo fanno con i loro tempi, proprio quei tempi che si dilatano e si restringono man mano che la narrazione salta da un’epoca all’altra, da un media all’altro.

Figure che rimangono memorabili, e che (forse) lo sono così tanto perché hanno monopolizzato tutta la narrazione con la loro presenza. Limite o punto di forza della sceneggiatura?

Archive 81 la risposta non ce l’ha, o quantomeno non ce l’ha ora. Una cosa è sicura: l’horror sta cambiando, e la serie targata Netflix sta provando a riscrivere le regole. E lo fa con un’inversione di rotta importante.