Karura: E tu che canzone scriveresti? | Intervista

Karura è il progetto solista di Daniele Rapagnani. Inizia da bambino utilizzando l’organo elettrico del nonno scoprendo, quasi per gioco, le potenzialità della musica. Così impara a suonare diversi strumenti, cantare, scrivere testi e produrre all’interno della sua camera.

Karura è il capovolgimento di un modus operandi: il passaggio della musica da strumento di trasformazione personale a occasione di confronto e connessione con l’ascoltatore. Riesce così a esplorare le sue emozioni, aprendosi intimamente al mondo esterno.

Nei suoi brani si respira un atmosfera invernale, con le gocce di pioggia che cadono di notte su cattivi pensieri e su giorni malinconici.

Il 1 Novembre è uscito il suo primo Ep, dal titolo Apofenia, nel quale si parla di tutte quelle cose che sembrano succedere per caso, ma in realtà possono avere diversi significati.

Ascoltare questo album permette di creare una connessione con gli altri, scavando dentro le nostre vite.

INTERVISTANDO KARURA

Karura è un nome molto particolare. Com’è nato?

Il nome fa riferimento alla Karura giapponese, una figura mitologica dal corpo umano e la testa d’aquila.

Ho vissuto un breve periodo della mia infanzia in Giappone e ricordo le forti emozioni contrastanti che provavo nell’osservare le statue di questa creatura: ero terrorizzato ma affascinato allo stesso tempo.

Questa figura è diventata per me quindi un po’ il simbolo delle forti sensazioni che provavo da bambino. Utilizzarla come nome del progetto è un promemoria a me stesso, un invito a ricordarmi di mantenere vivo quel modo di percepire il mondo nel mio processo artistico.

Cos’è l’apofenia?

L’apofenia è la tendenza a trovare connessioni apparentemente immotivate tra le cose e a percepirle come particolarmente significative. È uno dei primi segni della schizofrenia, ma è stato uno spunto di riflessione importante per me nell’ultimo anno. L’essere umano non può fare a meno di ricercare connessioni nel mondo che lo circonda, ad esempio quella che consideriamo la nostra vita è in realtà una storia che ci raccontiamo, una serie di connessioni tra gli eventi che ci accadono. Quando queste connessioni possono essere considerate ingiustificate? Forse tutti noi viviamo in piccolo la nostra apofenia e io ho raccontato la mia con questo EP.

Quali sono le tue più grandi paure?

Mi spaventa vedere le mancanza selettiva di empatia nelle persone, come accade spesso nei fenomeni di discriminazione di qualsiasi tipo. Alla Paura di esistere ho già dedicato la prima traccia dell’EP quindi non mi dilungo oltre. Direi anche le falene, ma penso sia più che mi fanno un po’ schifo.

Beatissimi voi a chi è dedicata?

Beatissimi voi è l’anatomia di un malessere transitorio, che arriva e scompare senza un motivo apparente. È dedicata a tutte le persone che credono periodicamente a quella voce interna che dice che staremo male per sempre. È ispirata al mare d’inverno, in particolare ad un viaggio ad Ancona, che è anche un indizio per l’interpretazione del titolo del pezzo.

C’è un domanda che vorresti fare a chi ascolta le tue canzoni?

Anche se non hai mai scritto una canzone, considerando dove sei oggi, che canzone scriveresti?

E se potessi io lo farei. Inizia così Trentasei gradi e nove. Qual è il tuo rimpianto più grande?

Cerco di non prestare troppa attenzione ai rimpianti. Quando non riesco a farne a meno rimpiango di non essermi fidato di più del mio istinto in molte situazioni, di essere stato troppo razionale o magari di non aver avuto il coraggio di prendere certe scelte. Il tema di Trentasei gradi e nove però non è tanto il rimpianto, quanto una presa di coscienza: non tutto quello che ci fa stare bene nell’immediato coincide con quello che ci farà stare bene a lungo termine.

È prevista l’uscita del video di uno dei tuoi brani?

Sto lavorando su un video che espanda in qualche modo il senso di questo EP, spero di riuscire a proporlo a breve!

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