Foto di Daniele L. Bianchi.

Non potrei mai | Indie tales

La vita è una matrioska. Non delle rotaie su cui si susseguono i vari eventi o binari, no. È una sorpresa dentro l’altra, non dietro l’altra. Almeno per me è sempre andata così.

Quante volte abbiamo un obiettivo ben preciso, ma nel percorso veniamo attratti da altro e decidiamo di cambiare rotta verso nuovi orizzonti, diversi da quelli che ci eravamo prefissati? Oppure. Quante volte siamo usciti di casa con la voglia sotto zero, ma poi siamo tornati a casa pienamente soddisfatti?

Fortuna (ma anche volontà) vuole che io faccia il lavoro dei miei sogni. Spesso vado a concerti di cui poi devo scrivere, insomma mi guadagno da vivere parlando di ciò che mi appassiona di più: la musica.

Mesi fa vado a questo festival dal nome molto indie in veste di inviato, ma anche di fan della maggior parte dei gruppi che sarebbero saliti sul palco.

La birra abbonda in certe occasioni, e io come al solito non mi tiro indietro. Mi piace. Mi piace ubriacarmi di emozioni forti, di gente sconosciuta intorno a me che condivide la mia stessa passione, della brezza delle sere d’estate e del volume alto.

Solo che quella sera, dopo aver perso il controllo più del dovuto, rompo il mio telefono, nonché unico mezzo per documentare l’evento. Bene. Dopo attimi di disperazione deciso di fregarmene e mi godo il live senza pensieri.

È tardi e ho ancora voglia di birra. Mi stacco dai miei amici e zompetto verso il bancone, urtando per sbaglio qualcuno. Chiedo scusa.

“Fa niente” mi risponde.

Mi giro e vedo gli occhi più caleidoscopici del mondo. Non sto scherzando, due abissi in cui tuffarsi e non tornare più.

“Oh, ti sei fatto male?”

“Non tornare più… ehm, cioè no.”

“Ok” ride.

Non può essere la birra. Mi guardo intorno per vedere se mi fa un effetto strano guardare anche le altre ragazze , ma niente, pare di no.

“Come ti chiami?”

“Caterina” un rapido sguardo con l’amica.

“Guido, piacere”

Le offro una birra, poi un’altra. Poi un’altra ancora.

Non so dire quanti drink ci siano voluti per farci baciare, ma poco importa. Parliamo, soprattutto. Oh, se parliamo. Occhi negli occhi, mani nelle mani. Il tutto in una bolla color lavanda (me la immagino così) che fluttua a mezz’aria tra ubriachi ignari. Già penso ai nomi dei nostri figli quando mi dice che deve andare.

“Ma andare dove? Resta ancora un po’”

“Non posso, davvero” mi ribacia.

“Ho ancora un cuore da farti consumare”

“Sul serio, c’è il mio ragazzo che mi aspetta all’uscita. È stato bello incontrarti.”

Se n’è andata davvero, penso.

Salgo in macchina afflitto, senza dire una parola. Tutto il viaggio la testa appoggiata al finestrino, il mio amico al volante che mi tempesta di domande a cui io non mi sento di rispondere. L’unica domanda che io ho in testa è “Perché? Perché te ne sei andata Caterina?”. Mi perplime più questo del fatto che ha un ragazzo. Voglio dire, un colpo di fulmine lo si può avere anche senza essere single. Vado a dormire con la testa pesante e il cuore raggrinzito.

Il giorno dopo spengo la sveglia (una delle poche funzioni rimaste al mio telefono) e con la testa che gira comincio a cazzeggiare scrollando su Instagram, controllando mail e cose così. Poi un sussulto. Chiamata persa da un numero non salvato alle ore 2. Oddio. Forse Non tutto è perduto. Mando un messaggio al numero in questione su Whatsapp e dalla foto sembra proprio lei. Poso il telefono sul comodino e vado in bagno a lavarmi la faccia. Torno e leggo sul display messaggio da Giada: “Ciao, sì certo che mi ricordo. Ieri ho bevuto decisamente troppo”

“Ma Caterina che fine ha fatto?” le rispondo io.

“Ops”.

Per farla breve, ammette di chiamarsi Giada e non Caterina e di non avere un ragazzo. Io decido di non prenderla sul personale, dopodiché è tutto un “ti ricordi quando ti ho detto…”. Ma come potrei dimenticare, Giada. Non potrei dimenticarmi di te neanche se mi pregassi di non vederci mai più.

Oggi io e Giada stiamo insieme. Il nostro incontro è stata la bambolina chiusa dentro la matrioska del concerto stupendo a cui entrambi abbiamo assistito quella sera. E non smetterò mai di ringraziare la musica per questo.

Racconto liberamente ispirato al brano NON POTREI MAI dei FAST ANIMALS AND SLOW KIDS