Se fai una domanda ad Eliseo Chiarelli, non puoi aspettarti una sola risposta. Ogni concetto può essere analizzato da diversi punti di vista, e state certi che questo giovanissimo cantautore crotonese è più che disposto a mettersi in discussione.
22 anni, qualche singolo e un album uscito due anni fa, “Un po’ d’amore, un po’ di rivoluzione”, in cui ideologie e stralci di esperienze amorose vanno in qualche modo a braccetto. Il suo ultimo singolo è uscito il 10 Aprile e si chiama “Ma non ci pensare”, un titolo forse volutamente contrastante con la personalità di Eliseo che, invece, tende a non dare nulla per scontato e a farsi molte domande sulla vita.
(Ride) In realtà sto ancora cercando di capirlo. “Ma non ci pensare” è stata scritta in un momento in cui avevo solo il bisogno di esternare una serie di cose che poi, appunto, sono confluite in questa canzone. Non sono in grado di dire se sia meglio restare o fuggire. Una cosa che, però, mi sento di dire è che sebbene fuggire possa sembrare la scelta più facile, forse restare lo è quasi di più.
Sicuramente sarà qualcosa di molto diverso dallo scorso album, sia musicalmente che a livello di testi e argomenti. Sarà un disco che nasce da una serie di situazioni in cui mi sono ritrovato o in cui ho pensato di ritrovarmi. Tutte, però, con un certo riguardo all’aspetto più intimo ed emotivo che scaturisce da determinate situazioni. Ultimamente ascolto molto pop britannico. Musicalmente sono, in teoria, alla ricerca di qualcosa di fresco e diverso, sonorità nuove rispetto a quelle del mondo indie italiano. Dico “in teoria” perché poi, nella pratica, mi ritrovo sempre a prediligere quel giro di chitarra acustica semplice e crudo. Insomma, come si dice: chi vivrà, vedrà.
Beh, forse ad ispirare il titolo del mio disco “Un po’ d’amore, un po’ di rivoluzione”, uscito ormai due anni fa, implicitamente, è stato proprio lui, anche se di fondo penso che politica e amore non abbiano quasi nulla in comune. Tranne che, appunto, il concetto stesso di “rivoluzione”. L’amore può essere rivoluzionario così come la politica. Ecco, per me è questo il punto di incontro tra le due cose, apparentemente distanti tra loro.
Forse, in modo un po’ antipatico, sostengo che l’Indie non sia un genere, ma più uno status artistico. Per me è indie l’artista che, dietro testi, musica e produzione non ha niente e nessun, ma solo una penna ed un blocco note su cui annotare le frasi di una nuova canzone.
Ecco cos’è l’Indie per me.
So perfettamente che, però, la mia idea di Indie è abbastanza distante da ciò che ormai questo termine significhi, e cioè un genere musicale. E, nonostante la mia visione distorta, alla fine mi sono adeguato a considerarlo un genere anche io. Se dovessi definire Indie un artista del passato, credo penserei a Battisti, per il fatto che, sebbene la musica di quegli anni avesse un determinato canone, lui faceva qualcosa di diverso: forse Indie potrebbe significare proprio questo, distinguersi dai canoni musicali del momento. O magari no, chi lo sa.
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