Barriera: Unire le persone grazie alla divisione | Intervista
In questi giorni stiamo vivendo le paure di un nuovo lockdown, con la seconda ondata di Covid che potrebbe di nuovo travolgere le nostre vita, creando ansie e divisioni.
Argomenti con il quale Barriera, sembra trovarsi a suo agio, raccontando con passione di solitudini, di separazioni, di incontri che non avvengono mai, perché nelle nostre città i sentimenti ineffabili si perdono.
Questo progetto di cantautorato elettronico prende il nome da un quartiere di Torino che una volta era operaio e ora sembra correre il rischio di essersi perso tra tradizione e modernità.
Il suo nuovo singolo “Abbandonarsi”, che da al nome anche all’ep, è un canzone sulla fine di una storia d’amore, ma anche un viaggio musicale alla riscoperta di sé, in un’atmosfera sospesa tra le voci della memoria.
INTERVISTANDO BARRIERA
C’è una Barriera che hai mai avuto paura di superare e poi ci sei riuscito lo stesso?
Ce ne sono tantissime. L’ultima è stata far vedere la mia faccia nel video che è uscito pochi giorni fa, quello di “Abbandonarsi”.
Per questa canzone avevo voglia di esserci con tutto il mio corpo, ma rimaneva anche quel timore che mi aveva portato, nel caso delle altre canzoni, a non mostrarmi e a lasciar parlare un altro tipo di immagini. Con Mario Blaconà, che ha condiviso con me la regia del video, abbiamo provato a mettere insieme queste due cose, e sono contento di aver superato anche questa barriera.
La realtà è nemica dell’amore?
Forse sì. Ma l’amore ha anche un potenziale di trasformazione incredibile, riesce a rivoluzionare cose che sembravano impossibili da cambiare. Credo sia una cosa che proviamo tutti. Forse per avere un cambiamento del genere, per innamorarsi, bisogna arrivare un po’ a disprezzare quello che ci sta intorno.
Barthes ne parla nei “Frammenti di un discorso amoroso”, che è il libro a cui torno sempre ogni volta che si parla d’amore. Dice che l’innamorato è proprio colui che non riesce ad amare la realtà.
Cosa vedi se stringi forte gli occhi?
Li ho chiusi davvero, eh. Ho visto un concerto, i miei amici, la facilità delle cose. Tutta roba parecchio lontana da noi in questo periodo di crisi sanitaria. Ma è sicuramente il mio desiderio più vero in questo momento: poter cantare le mie canzoni a delle persone fisicamente presenti davanti a me.
È una mia impressione o dentro “Abbandonarsi” c’è il suono di una sveglia? Hai usato questo escamotage come metafora di una vita tra sogno e realtà?
In realtà quelli che senti sono gli interruttori della luce della mia casa di Caserta. Però effettivamente volevo trovare un suono simile a quello di una sveglia quando li ho campionati.
Il primo provino del pezzo risale a quattro anni fa, e mi ricordo che all’epoca ero parecchio in fissa con un pezzo di Empress Of. Partiva con questo ticchettio bellissimo che immergeva subito la canzone in un’atmosfera onirica.
Ci hai mai fatto caso che il video di “Ringhiera” è dannatamente attuale?
Potrei scriverlo nella bio di Instagram: distanziamento sociale before it was cool. Sì, me l’hanno fatto notare un po’ di persone. Non sono Nostradamus (anche se un po’ mi piacerebbe), è che questa distanza era nell’aria da prima che arrivasse il coronavirus.
È anche la distanza che impongono gli schermi dei nostri smartphone, per esempio. E quelli c’erano anche prima, anche se adesso sembrano davvero una profezia.
Che rapporto hai con Torino, e come è cambiata negli ultimi anni?
Torino per me è cambiata tantissimo negli ultimi anni, nel senso che adesso non ci vivo più. È una città che amo ancora tanto, e con cui ho sviluppato un rapporto viscerale. Se ripenso a certi angoli mi si stringe lo stomaco dalla nostalgia, e mi capita di scrivere ancora di lei. Probabilmente potrei iscriverla nella lista degli abbandoni che devo ancora superare.
“Collina” che storia racconta?
In “Collina” si incrociano diverse storie, ma tutto ha preso forma al Cap10100, a un concerto dei Winstons. Io e alcuni amici siamo lì fuori a bere, mentre aspettiamo che si faccia ora. È un tavolo con un bel po’ di provenienze e nazionalità diverse. Non so come, si finisce a parlare di temi esistenziali, di amore, di suicidio, e di come tutte queste cose siano diverse nelle nostre rispettive culture. Insomma, si crea un’atmosfera strana, intensa.
Alla fine abbiamo continuato a ordinare alcol, e i Winstons non siamo mai andati ad ascoltarli. A un certo punto uno del gruppo è anche sparito, e l’abbiamo visto poi che vagava nei pressi del Po. Ci siamo un po’ spaventati, ma non è successo niente. Dopo quella nottata stregata avevamo tutti un peso nel cuore, e a presenziare a tutti quei discorsi, dall’altra parte del fiume, c’era sempre la collina.
Come può rinascere la cultura nel nostro paese?
Ringraziando il cielo non ne ho la più pallida idea, ma sicuramente questo fatto che si stia parlando molto dei lavoratori dello spettacolo, e che stiano nascendo tante realtà che discutono dei rapporti tra arte e lavoro, è una cosa che mi dà un po’ di coraggio. Sempre con la giusta disillusione da millennial nauseato.
Blindur ha prodotto le tue canzoni. Che rapporto hai con lui e quale suo brano ti affascina di più?
È un po’ difficile per me scegliere un brano preferito di Blindur, perché di solito va così: mi piace da morire un pezzo di Blindur, giro il video di quel pezzo, monto il videoclip, montando il videoclip devo necessariamente ascoltare un numero improponibile di volte il pezzo in questione, quel pezzo diventa la colonna sonora dei miei incubi. Per fortuna Blindur cambia spesso arrangiamenti nei live, così riesco almeno a incontrarlo ai concerti senza farmi venire un attacco di panico.
Detto questo, io e Massimo siamo super amici. Da quando ci conosciamo abbiamo condiviso un po’ di avventure folli, e diciamo che non tutte si possono raccontare in ogni particolare. È un artista incredibile, e lavorare con lui mi ha fatto crescere tanto da praticamente ogni punto di vista. Ma è una cosa che scommetto potrebbero dire tutti quelli che hanno lavorato con lui. Dovendo scegliere un brano tra i tanti, in questo momento ti direi “Ansia”, dal disco “A”. Ma appunto, solo perché grazie a dio non siamo mai riusciti a farne un video. E anche perché è una canzone che ogni volta mi fa a pezzi.
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