Il coding in note di Fabio Kas | Intervista

Quando il proprio mestiere e la propria passione sembrano viaggiare su strade parallele in realtà non si è ancora trovata la deviazione corretta per farle incontrare.

Fabio Kas è riuscito a trovare, però, nel sound engineering il collante perfetto: informatico per mestiere, infatti, e musicista per passione come lui stesso si definisce!

I suoi brani originali come Tanto è venerdì e le sue cover, tra cui “Blew” dei Nirvana, sono il frutto di un attento studio sul suono e sulle emozioni che questo determina quando combinato alle parole.

Incertezze, uscito lo scorso 6 novembre, è il suo ultimo singolo: prendere una qualsiasi decisione non è sempre così naturale, rischiare di intraprendere la via che ci appare migliore, in quel momento, potrebbe, però, rivelarsi la giusta scelta!

INTERVISTANDO FABIO KAS

Quale è il legame tra il coding  ed il recording, quindi informatica e musica?

Ciò che mi piace dell’informatica è il trovare applicazione nei contesti più disparati. Il mio mestiere riguarda lo sviluppo di logiche di back-end per applicazioni web, lontane da quella parte dell’informatica che manipola il suono (Audio Signal Processing o ASP). Sono un appassionato di tecnologia e mi piace il lavoro che faccio, ma da sempre nutro un interesse particolare per l’ASP su cui ho, anche, fatto la tesi di laurea.

Secondo me il punto di incontro tra musica ed informatica è lo studio del come cambia il suono al variare dei parametri di un software (che modella, ad esempio, un equalizzatore o un effetto riverbero), sia dal punto di vista tecnico che da quello emotivo. In sostanza, mi piace capire a fondo come un software agisce su un segnale audio e, allo stesso tempo, cercare soluzioni musicalmente ed emotivamente funzionali. Questo, in generale, fa parte del Sound Engineering, uno dei miei principali interessi, nonché argomento attorno a cui ruotano i contenuti del mio blog  (www.fabiocasamento.com).

La tua è un’anima più hip-hop o più rock?

Di solito in base al periodo, al contesto e allo stato d’animo, si tende ad entrare in sintonia con un genere musicale o artista o brano, piuttosto che un altro (a meno che non si è fissati con un solo genere di musica o artista e allora ci si convince che ha senso ascoltare solo quello!). Io ascolto da sempre un po’ di tutto e quando, ad esempio, mi trovo in Veneto, dove esiste una forte tradizione rock underground, mi piace perdermi nell’ascolto di concerti di rock band che suonano la loro musica dal vivo nei pub.

Quando invece giro per le strade di Milano e mi trovo davanti a un bel graffito, iniziano a suonare in mente alcuni vecchi brani della Dogo Gang o addirittura della Spaghetti Funk. Per non parlare degli effetti di una passeggiata tra le vie centrali di Roma, dove affondano buona parte delle radici del cantautorato classico e dell’indie italiano.

Comunque, al di là delle sensazioni momentanee, per quanto adori ascoltare e produrre musica hip hop ed elettronica (si vedano ad esempio le raccolte “Betrayal” e  “Checkmate”), credo particolarmente nella “sporcizia” del suono delle chitarre  ovvero nella loro distorsione; nel batterista a cui volano le bacchette per aria durante un assolo o che dalla foga le rompe; nella corda di chitarra che salta in pieno concerto in quel misto di sudore ed emozioni di chi sta sul palco, sotto i fari cocenti, in un locale underground frequentato da molta gente, con boccali di birra in mano (belli i tempi pre Covid!).

Quindi, credo che la mia sia più un’anima rock.

Cosa ti ha spinto a passare anche dalla parte dell’autore?

Sicuramente la voglia di esprimermi e raccontare esperienze e sensazioni, attraverso una forma d’arte che sento mia. In realtà, scrivere e musicare testi è una cosa che ho sperimentato tanto durante l’ adolescenza, che ho, poi, ripreso dopo la parentesi hip hop / EDM. Tra l’altro, con i Kas Band, abbiamo portato le mie canzoni in giro per locali veneti per anni e fino a pochi giorni prima del primo lockdown, ma la maggior parte non sono mai state incise: magari un giorno!

Nel video della cover di “Riders on the storm” dei The Doors sono palesi le tue capacità da polistrumentista. Quale strumento prediligi suonare e perché?

È necessario raccontare un aneddoto in merito: non avevo mai suonato una batteria fino a due settimane prima che registrassi il video: sicuramente i batteristi esperti lo avranno notato! Lo strumento che, comunque, prediligo suonare è la chitarra, perché è quello a cui ho dedicato più tempo e con il quale mi sento più a mio agio.

Quanto hai corso per un mondo che non riconosci più recita “Stasera esco”,credi che il cambiamento obbligato di cui siamo protagonisti possa donarci una nuova forma di libertà?

Al di là della sofferenza causata dalla pandemia, penso che in fondo da questa brutta situazione si possa trarre qualcosa di positivo. Penso che le abitudini di cui siamo stati privati e l’aver trascorso molto tempo da soli con noi stessi possano trasformarsi in una grande opportunità di crescita personale. Stiamo vivendo un cambiamento che stravolge gli equilibri a cui da sempre siamo abituati e su cui abbiamo fondato le nostre vite.

Ci troviamo, quindi, a dover reinventare parte del nostro tempo, perché siamo stati “liberati” da alcune vecchie abitudini. Dipende da ciascuno di noi saper cogliere l’opportunità di aggiungere valore alla propria vita, in qualche modo. Io, per esempio, mi sono ritrovato con più tempo per lavorare ai miei brani, come testimoniano le ultime pubblicazioni, cercando così di salvarne qualcuno dal dimenticatoio: la cosa mi rende felice.

Quale è stata una follia che fai fatto da “Tanto è venerdì”?

Una in particolare risalente a quest’estate! Un venerdì sera ero a casa di amici e sul tardi, tra un bicchiere e l’altro, si propone inaspettatamente di andare al mare. Dopo poche ore ci troviamo in 5 sulla mia auto diretti da Milano alla volta di Chioggia, attrezzati di borsa frigo e bottiglie di prosecco e Campari. È stato un pazzo weekend stile gita delle superiori, ed è successo di tutto. Una vera follia, ma super divertente, che un po’ richiama il tema del viaggio folle improvvisato accennato nella canzone “Tanto è venerdì”.

Le nostre Incertezze” possono trasformarsi in certezze?

Secondo me l’incertezza è tale finché non si prende una decisione, con la consapevolezza che non si possa tornare indietro. È quello che, appunto, mi ripeto prima e dopo aver preso una decisione importante. Ad esempio, molti anni fa ero incerto sul trasferirmi a Padova per gli studi, perché non volevo allontanarmi dai familiari e dai vecchi amici, però l’ho fatto. A volte pensavo di mollare gli studi, ma mi ripetevo “non si torna indietro” e se c’è una cosa certa, oggi, è quel 110 in ingegneria informatica.

Poi ho vissuto l’incertezza sul trasferirmi a Milano, ma, dopo qualche anno, da quella decisione è derivata la certezza delle esperienze, delle opportunità, delle contaminazioni culturali e amicizie che Milano mi ha regalato. Potrei continuare con altri esempi, ma penso che questi siano sufficienti, per cui direi che la mia risposta alla domanda sia sì.

Rifugiarsi nei “forse” è solo una via di fuga dalla realtà?

Quando dobbiamo prendere decisioni importanti siamo sommersi da tantissimi dubbi e ci chiediamo se forse sia meglio far in un modo piuttosto che in un altro, per cercare di accontentare sé stessi e anche chi ci sta attorno.

Non sempre le persone a noi vicine condividono i nostri stessi interessi e obiettivi: una decisione che rende felice noi, può rendere infelice qualcun altro e viceversa. Tuttavia, la malinconia che deriva da quello stato di “forse” può trasformarsi in un bizzarro momento di evasione dalla realtà, perché in fondo ha un proprio fascino e una propria bellezza. Quella bellezza che la canzone “Incertezze” cerca di raccontare e descrivere.