Luigi Marzano nasce il 5 dicembre 1987 ad Aversa, città della provincia di Caserta. Laureatosi in pianoforte classico nel 2016, al conservatorio di musica “San Pietro a Majella di Napoli, ha svolto numerosi concerti sia come pianista accompagnatore sia come pianista solista.
Dall’età di 18 anni scrive anche poesie. È stato vincitore dell’ottava edizione del concorso di poesia “Pensieri di…versi” e della quinta edizione del Premio Letterario Nazionale “C. Bukowski”. Nell’ottobre 2018 ha pubblicato una silloge di poesie dal titolo “Poesie dall’etere di un poeta riconosciuto”, edito dalla casa editrice Giovane Holden. Attualmente, oltre a scrivere poesie, insegna pianoforte e si esibisce in concerto.
Il suo ultimo disco per pianoforte “Essenziale” ha catturato la nostra attenzione ed abbiamo voluto intervistarlo per comprendere al meglio il pensiero di un musicista classico riguardo al “mainstream” ed il sentimento che lega Luigi Marzano alla musica in tutte le sue accezioni.
Sì, soprattutto intorno ai miei vent’anni. A essere sincero, nel 2014 ho ideato un progetto che ho chiamato “Musicoesia”. Il progetto, da come si può intuire, era una coesione tra musica e poesia, ma la presenza di un attore-declamatore mi permise di andare oltre e di inserire, in qualche modo, anche il teatro. Tuttavia, a un certo punto è come se avessi sentito che quella non era la cosa giusta da fare. Così, guidato anche dalla mia anima, ho scelto di dividere le due forme d’arte, lasciando che fossero le muse a decidere quando avrei dovuto esprimermi con la poesia e quando con la musica.
Monotona, decisamente monotona. Testi spesso banali, retorici, o peggio insignificanti e lo dico con dispiacere. Ogni anno guardo Sanremo e, a parte alcuni artisti davvero molto bravi, soprattutto dal punto di vista interpretativo, noto la mancanza di una certa dose di libertà e di voglia di osare. Ciò che non mi piace è soprattutto legato alle preferenze del mercato musicale e alle scelte che si compiono in ambito radiofonico. Cosa mi piace? Ripeto che secondo me ci sono artisti di grande valore e, l’interpretazione, è ciò che mi colpisce di più.
Solitamente il titolo mi viene suggerito dalla composizione stessa, dopo averla conclusa. Altre volte parto da un concetto, da una sensazione o da un’immagine e compongo la musica pensando contemporaneamente a un possibile titolo.
Devo dire che, per una questione di preferenze personali, mi piace soprattutto la musica strumentale, quindi non saprei rispondere accuratamente. Parlando di “mainstream”, mi viene in mente Ludovico Einaudi, anche se non mi piace che lo si identifichi come artista mainstream. Dunque, se dovessi scegliere con chi collaborare, sceglierei un artista al pari di Einaudi. A parer mio, Einaudi è un valido artista italiano; un artista che ci ricorda quanto può essere emozionante anche una composizione senza testo.
Senza dubbio preferisco la vita del musicista dal vivo. Penso che fare soltanto musica in studio, sia un po’ come guardare da una finestra chiusa, la vita stessa, immaginando il sapore che potrebbe avere, se solo potessimo assaporarla autenticamente.
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