My Girl Is Retro: La violenza della violenza | Indie Talks

Qual è il ruolo della violenza nel reclamare i propri diritti? “Tango!, atto 1″ non è la risposta, ma una domanda provocatoria.

Appena ho ascoltato il nuovo singolo di My Girl Is Retro sono rimasto scioccato per la violenza della storia che racconta, ma soprattutto per il suo approccio talmente reale da sembrare quasi cinico e distaccato.

“Tango!, atto 1” infatti è la cronaca di un ragazzo che entra a scuola con il fucile con l’obiettivo di ammazzare più gente possibile. Il suo gesto non nasce da un raptus improvviso, ma ha dietro un ragionamento fatto di ribellione e molta utopia.

Paradossalmente dopo quello che è successo ieri negli Stati Uniti, questo numero di Indie Talks diventa ancor più attuale dimostrandosi l’incipit ideale per un discorso intellettuale e sociologico e ho voluto fare con My Girl Is Retro.

La violenza può essere causa, conseguenza o soluzione per risolvere qualcosa, diventando quasi inevitabilmente uno step che non si può rimuovere neanche dalle società più civilizzate.

MY GIRL IS RETRO X INDIE TALKS

“Tango!, atto I” è ispirata a un vero fatto di cronaca?

Non uno in particolare. Scrissi Tango! nel 2018 e nel febbraio di quell’anno ci fu uno degli school-shooting più gravi della storia degli Stati Uniti, in un High School in Florida.

Magari fui influenzato dall’avvenimento, ma non scrissi di quello nello specifico. Tango! ha anche preso una forma diversa: non è una canzone che parla solo di una sparatoria in una scuola, ci ho aggiunto un’ideale dietro, ed infatti me la immagino più in una scuola italiana. Certo è che l’ispirazione viene dal problema americano, ed è una componente forte del brano.

Che cos’è la violenza?

In Tango! l’ho espressa come il vettore con cui si comunica un’urgenza, un mezzo di comunicazione vero e proprio. Ma non voglio giustificare l’atto, quanto più invece contestualizzarlo e provare a darne una lettura attraverso un racconto ad immagini. Questo modo di vedere la violenza mi appartiene personalmente.

Come in molte delle azioni che curiosamente cerco di analizzare, quando mi trovo davanti ad un atto di violenza cerco di costruire un contesto e di andare in profondità. Allora si capisce che c’è sempre una miccia, un fiammifero e una serie di input o di azioni che danno il via alla reazione. Comprendere questi input, il contesto, ci rende capaci di non puntare semplicemente il dito, ma di valutare le azioni in modo critico e capire come intervenire per aiutare e prevenire.

È possibile una rivoluzione pacifica?

A questo ho pensato molto dopo quello che è successo in America quest’estate, con le proteste di Black Lives Matters. Che dire, certamente è auspicabile la non-violenza, ma la verità è che non sempre è efficace. E credo che sia una reazione normale, soprattutto in quel contesto di razzismo sistemico che dura da secoli e che gli afroamericani subiscono.

Fare gli indignati per delle vetrine rotte o i cassonetti in fiamme credo che sia davvero di una superficialità disarmante, e un ottimo modo per distogliere l’attenzione dal problema reale. Inoltre certi negozi sono simbolo dello stesso sistema che inevitabilmente li opprime. Poi è ovvio che non tutti quelli che rubano dai negozi lo fanno con l’intento di dare un segnale di protesta. Anzi, forse nessuno. Ma rimane comunque un guardare il dito quando ti indicano la luna.

Oggi esistono ancora persone che credono in degli ideali?

Sì, assolutamente. E credo che proprio gli avvenimenti di quest’estate ce l’abbiano dimostrato. BLM è stato un movimento che ha coinvolto e portato ad esprimersi tantissime persone, non solo negli Stati Uniti, ma in tutto il mondo, adattando il messaggio al proprio Paese. Ma non solo, percepisco come sempre più accese alcune battaglie importanti, come quelle contro misoginia e violenza sulle donne, gender-gap, omo-bi-transofobia, o quella di sensibilizzazione sul cambiamento climatico.

Proprio nelle ultime settimane è nata una protesta pacifica contro le nuove linee guida di Instagram sui contenuti che fanno riferimento al sesso, che sarà inteso in senso molto ampio e penalizzerà soprattutto creators di contenuti LGBTQ+ e sulla body-positivity, sex-workers, ma anche illustratori, artisti ed in generale renderà difficile una comunicazione sull’educazione sessuale, che è invece fondamentale (per saperne di più: @silencedbodies).

In generale, le battaglie sociali sono supportate da persone che ogni giorno impiegano parte del loro tempo (che potrebbero tranquillamente usare per guardare tutti i reel dei cagnolini) per informarsi e diffondere messaggi.

C’è tanto ancora da fare, ma è bello vedere che questi temi vengano percepiti sempre più come fondamentali. In generale, credo che molti giovani stiano ritrovando l’interesse per la politica. È triste invece come certe battaglie care ai giovani siano poco o per niente rappresentate nei programmi dei partiti.

Politica e musica sono collegate?

Per me sì, ma non sempre è scontato. Cultura e politica nella mia visione vanno a braccetto. In questo contesto, la musica è un vettore di comunicazione potentissimo. Nel panorama italiano non è complicato oggi trovare qualcuno che parli di politica, ma chi lo fa ha spesso una spiccata sensibilità e un suo modo di porsi ben preciso.

Il racconto politico in Italia si ricerca in maniera trasversale. Dall’indie, al rap al pop, tutti coloro che fanno politica con la loro musica concorrono a creare uno scenario che immagino come uno “specchio rotto”, dove ogni frammento riflette una cosa diversa ma ugualmente valida. Brani come “Questo corpo” de La Rappresentante Di Lista, “Clito” di Madame, “Noia Mortale” di Colapesce e Dimartino (e molti altri, non sto ad elencarli tutti che son davvero tanti) per me sono estremamente politici. Vi è un’idea, un’empatia, una dichiarazione d’intenti. Ognuno dei tre pezzi sopra però è politico in maniera diversa.

L’altra parte, ovvero quella che sostiene che i cantanti devono limitarsi a cantare d’amore e di situazioni normali e comode, ha paura di quello che possono dire.

Ci sono cose per le quali saresti pronto a sacrificare la tua vita?

Qua mi sento di citare De André: “Morire per delle idee, l’idea è affascinante, per poco io morivo senza averla mai avuta”

Gaetano Bresci: eroe o criminale?

Non credo stia a me definirlo. Forse a nessuno. Certe cose vanno solo studiate e comprese. Sicuramente dopo il suo gesto, le repressioni che l’avevano spinto a uccidere il Re sono terminate.

Favorevole o contrario alla pena di morte?

Contrario, da sempre e per sempre. Ci sono innumerevoli studi che dimostrano quanto sia assolutamente inefficace come deterrente per la commissione dei crimini, oltre ad essere una pratica barbarica.

Perché gli americani sono così affezionati alle armi?

Premesso che non possiamo metterci a disquisire su tutto il processo politico, storico e sociale che ha portato a questa considerazione delle armi da parte degli Stati Uniti, credo che si possa semplicemente far risalire a quella necessità di sentirsi al sicuro che tutti abbiamo e che è fondamentale per l’esistenza di ognuno. Per questo sono convinto che non vadano guardati come se fossero dei pazzi, per quanto spesso si creino alcune situazioni che ci appaiono assurde.

Come dicevo prima, è importante comprenderne le ragioni. Ovviamente il problema è che il fatto che tutti possano possedere un’arma, non rende davvero più sicuri, ma anzi aumenta il rischio di conflitti o incidenti da arma da fuoco.