Gustav Davidsson: La dicotomia della pace | Recensione album “Anin”
L’artista – Gustav Davidsson
Gustav Davidsson è un produttore e musicista svedese. Il suo lavoro da solista si basa principalmente sul pianoforte, lavorando su idee compositive minimaliste, riverbero, improvvisazione e un desiderio di pace interiore, attraverso il suono. Ha iniziato da bambino passando del tempo suonando il pianoforte a coda di famiglia, improvvisando, componendo e rimanendo stupito dal suono imponente e spazioso di quello strumento.
Si è quindi sforzato di esplorare questo suono sia nel pianoforte sia attraverso altri mezzi. Dopo aver studiato improvvisazione nelle più rinomate scuole svedesi ha preso parte alla scena musicale del paese, principalmente intorno alla musica improvvisata e neoclassica. Gestisce anche uno studio (Studio Glasfågeln) dove registra principalmente musica acustica. Ora è in una sorta di viaggio introspettivo dove intende abbandonare obiettivi intellettuali in funzione di una musica che gli sta maggiormente a cuore.
Il disco – Anin
Anin è una raccolta di 9 brani basati su idee minimaliste, fluttuanti in suoni imponenti. Questo album è un’opera d’arte molto umile e onesta, proprio come Gustav suona e intende la musica, senza muri di sicurezza o scopi intellettuali. I pezzi sono stati registrati durante un tempo incerto ed elaborano sentimenti di perdita e questioni sulla direzione della vita, attraverso improvvisazioni minimaliste che vengono trattate con una sottile post-produzione.
Il disco si apre con Inhalation, un’overture intima e delicata che si sviluppa intorno all’incessante suono dei martelletti che percuotono le corde del piano. Per quasi sette minuti Gustav Davidsson ci fa entrare nel suo mondo, in punta di piedi, utilizzando le note come un ticchettio che scandisce il tempo, che bussa morbidamente alla porta dell’ascoltatore. Un respiro profondo e finalmente Anin è dentro di noi, diramandosi lentamente nelle vene, come ossigeno puro.
Anin – La recensione
Leaving scorre intervallata soltanto dal rumore sordo del pedale del sustain, che umanizza il corso naturale della musica. Un’interruzione brusca, inaspettata, ci porta a Await, jazzistica ma con un tema ricorrente. Await, l’attesa, di qualcuno o qualcosa, sottolineata da svisature, variazioni su un tema altrimenti ipnotico. Aspettiamo Godot ed incontriamo altri sul nostro cammino: ci chiediamo brevemente chi sono, qual è la loro storia, ma poi, imperterriti, rimaniamo in attesa.
Behind your shoulders lascia un dubbio: è un ricordo del passato che ritorna prepotentemente o uno stato di malinconica felicità guardandosi indietro? Il brano vive di momenti e ci si potrebbero ritrovare tutti gli elementi citati, sebbene stia nell’ascoltatore scolpire le sue immagini sul proprio vissuto.
E’ chiaro che un disco come Anin di Gustav Davidsson viva di sensazioni e sentimenti condivisi che, allo stesso tempo, prendono strade del tutto personali quando toccano le corde del diverso ascoltatore. Un album sicuramente personale, nella sua duplice valenza. Da un lato l’autore che con le sue composizioni strumentali trasferisce il suo vissuto sul tasto fisico del pianoforte; dall’altro il pubblico, che da questi suoni prende la parte più emotiva raccontandosi una storia diversa.
La consapevolezza del corso naturale della vita
Close e Shallow Breathing sono uno la diretta conseguenza dell’altro. Anch’essi possono avere una duplice sfaccettatura, quasi antitetica: “chiuso o vicino?” “respiro leggero o vuoto?”. I brani di Anin sembrano portarci inesorabilmente ad un bivio in cui non è decisiva la scelta della strada, ma la consapevolezza del percorso. L’esempio lampante è Exhalation, un finale in netta contrapposizione con l’overture del disco, ma che trova un senso solo in essa. Ecco, se dovessimo riassumere l’album in una sola parola, useremmo dicotomia.
In definitiva Anin di Gustav Davidsson è un album minimale con una post-produzione così leggera da lasciare inalterata l’onestà e l’immediatezza di ogni composizione. Ci mette davanti alla consapevolezza della vita che scorre, del tempo che passa con la naturale incertezza della vita. Come è naturale inspirare ed espirare, come è naturale avvicinarsi ed allontanarsi, aprire o chiudere gli occhi.
Anin è un disco da ascoltare in qualsiasi momento ma richiede una sorta di “comfort zone” in cui goderselo: una poltrona davanti alla finestra, un bicchiere di Glogg (tipica bevanda calda speziata svedese), un calmo pomeriggio interrotto solo da una leggera nevicata. Gustav Davidsson ci ha lasciato entrare nel suo mondo e ci ha dato gli input per poter trovare in esso la pace, almeno per tutta la sua durata.
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