LeonardoQ: “Come sarà la musica tra cent’anni?” | Intervista
Una Q nata per caso e il rap nelle vene. Questi sono solo due dei tratti distintivi di LeonardoQ, giovane cantautore triestino. La passione è tanta, esce fuori da ogni parola, a volte quasi incontenibile.
Il suo ultimo singolo, realizzato assieme al giovane producer Jack Sasso, parla di ciò che gli “strani”, i “pazzi” e in generale quelli che a molti piace definire “diversi” non dicono. “Il silenzio del pazzo” è uscito il 29 gennaio e di che genere si tratti, beh, a LeonardoQ non piace parlare perché, in accordo con il tema del brano, le etichette gli stanno strette.
Intervistando LeonardoQ
Ciao! “Q” per cosa sta?
La storia della Q è una storia tanto bizzarra quanto insensata. Circa 2 anni fa mi trovavo davanti al pc, intento ad inserire su un sito di distribuzione musicale il mio nome da artista, che ovviamente avevo già scelto in precedenza ed era “Leonardo”. D’un tratto mi appare l’avviso “Il nome inserito non è più disponibile”. Così il mio amico e socio Piero lì presente, scocciato per l’intoppo imprevisto, digita casualmente la lettera Q. Lui voleva correggere in qualche modo, ma lo bloccai dicendo “Mi piace Leonardo Q!”. Il significato della Q prese senso solo dopo la sua creazione. La Q è tutto: è il fato, è irragionevole, ma allo stesso tempo piena di significato. la Q è tutto.
Com’è il silenzio del pazzo rispetto agli altri tipi di silenzio?
Il silenzio del pazzo è un silenzio solitario, angosciante, un silenzio infantile; è un tenero bimbo pieno di rabbia, un bimbo che vorrebbe far sentire la sua voce a tutto il mondo. Un bimbo che, vista l’attuale società e i pregiudizi che la stessa ci inculca fin da piccoli nei confronti del “diverso”, non verrà mai ascoltato, e verrà sempre visto come quello “strano”, quello “pazzo”.
Com’è nata l’idea di una collaborazione con Jack Sasso?
Jack è il cantante dei “Sindrome di MA”, giovane band triestina di cui sono sempre andato matto, adoro la loro musica. I “Sindrome”, già da un paio d’anni, sono un gruppo estremamente seguito e rispettato qui nella nostra città proprio per il loro stile e il loro sound, cosa che io avevo notato fin da subito. Fatto sta che, dopo aver pubblicato un paio dei miei primi singoli, Jack mi chiama per dirmi: “Ciao Leo, molto piacere, spacchi un sacco e mi piace quello che fai, vorrei produrti un pezzo”. Gasatissimo accettai e pochi giorni dopo ci ritrovammo nel suo studio pronti a registrare il primo pezzo. Prima ancora di incontrarci sapevo che se avessimo lavorato insieme avremmo potuto fare qualcosa di davvero assurdo: il suo sound, la sua testa, la mia voce e la mia Q! La cosa folle è che io e Jack abbiamo una sinergia e un’empatia musicale strabiliante, al punto che già dopo aver scritto tre barre e aver buttato giù due kick, sentiamo il pezzo finito, e gasandoci a bestia l’uno con l’altro. Jack ora si trova a Londra per un dottorato di ricerca in “Ingegneria Biomedica” e quindi per un po’ saremo lontani, anche se ovviamente niente ci ferma: dateci un computer, un microfono e una connessione Wi-Fi e vi porteremo sulle stelle con noi. “Il silenzio del pazzo” è solo un piccolo assaggio di quello che stiamo preparando e che a breve vorrà farsi sentire. Quell’uomo è un pazzo, ma lo adoro!
Come definiresti il tuo genere musicale e il tuo stile in generale?
Non mi è mai piaciuta l’idea di etichettarmi, quello che faccio è semplicemente fare musica, creare qualcosa di unico, qualcosa di vero, e poterlo fare mi piace, perché mi fa stare bene. Se dovessi per forza dare un nome a quello che faccio penso che il termine più adatto sarebbe indie rock/rap. Mi definirei come uno skater in pensione, che pur stando sempre al passo coi tempi, non si distaccherà mai del tutto dal suo periodo “underground”.
Il tuo è un progetto nato da poco. Come e quanto hai deciso di fare musica?
Le prime barre le facevo insieme ai miei amici in piazzetta; avremo avuto sì e no tredici anni, e il rap fu il primo genere musicale a cui mi avvicinai fin da subito e che conquistò immediatamente tutta la mia attenzione. Fabri Fibra con “Uomini di Mare”, Neffa, Sangue Misto, Lord Bean, Stokka e MadBuddy, Mistaman, Joe Cassano, Inoki e tanti altri ancora, questo è ciò che le mie orecchie ascoltavano dalla mattina alla sera. Il rap è sempre stato un mondo a me familiare, a tal punto che, quando a 14 anni decisi di scrivere il mio primo pezzo, il tutto mi si rivelò estremamente facile e naturale, come se il flow e le parole scorressero già nei miei pensieri. È anche vero, però, che un’idea concreta di musica cominciò a prendere forma non prima di 2 anni fa con “Nuvole”, il mio primo singolo reso pubblico. Da lì in poi il mio sound iniziò a cavalcare un’onda decisamente più melodica e matura.
Quanto conta il look e lo stile personale per chi fa musica?
A mio parere, oggi come oggi, penso che l’immagine sia di fondamentale importanza nel mondo della musica. Il look e lo stile di un cantante devono suscitare il massimo interesse nei confronti del pubblico. Una volta il cantante cantava e teneva concerti, oggi il cantante è un influencer, un attore, un’immagine, un modello, un prodotto. Non in tutti i casi certo, ma nella maggior parte sicuramente. È cambiato il modo di approcciarsi alla musica così come è cambiato il modo di fare musica, ma devo riconoscere che questo non mi ha mai disturbato, perché penso che ognuno sia libero di fare quello che vuole, e anzi avere la possibilità di osservare i mutamenti generazionali. Solo, mi chiedo: tra 100 anni cosa sarà un “cantante”, cosa sarà la “musica”?
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