Non esiste, almeno a nostro avviso, un tempo per i fuorisede. Ci sono periodi in cui i fuorisede sono alla ricerca di una casa e periodi in cui, gli stessi, ritornano a casa per le feste comandate. Ad un mese esatto dal Natale, abbiamo dunque deciso di soffermarci su questo individuo particolare della società, che, come ci canta Marasmo nel suo nuovo EP (fuori per iSugo Records), rappresenta, più che uno status sociale, una condizione esistenziale.
Il dramma dell’allontanamento, l’agitazione di conoscere persone nuove e l’emozione di vivere da solo sono piccoli tasselli alla base delle tracce di “fuorisede”. Non potevamo non parlare dunque, in questo nuovo Indie Talks con Marasmo, di un argomento che almeno una volta nella vita ci ha riguardato da vicino.
L’esperienza da studente fuorisede mi ha sicuramente cambiato molto, nonostante mi sia sempre sentito un “turista” anche nella mia città natale. Vivo ancora la sensazione del non sentirmi nel posto giusto, del non sentirmi adatto al luogo che abito, e penso che mi accompagnerà ancora per molto. Il ruolo del fuorisede è accompagnato da alcune emozioni ricorrenti secondo me: il disagio, l’ansia, il senso di esclusione, l’amarezza, la percezione falsata della distanza con i propri genitori e con gli amici di vecchia data e l’impressione di non essere all’altezza, di non essere abbastanza, di non poter competere con gli altri e con le nuove sfide che ci sembrano più grandi di noi, come le città che ci ritroviamo davanti, sempre più grandi e competitive.
Per me è una condizione sia fisica che dell’anima, sempre fuori forma per via delle cene di gruppo in casa e sempre in discussione a livello emotivo, tra alti e bassi, picchi di serenità e momenti di blackout totale. Credo sia questo essere in continua oscillazione a destabilizzare, a creare degli scompensi.
Ci sono stati dei luoghi e delle persone che non mi hanno fatto sentire fuorisede. Ho trovato chi condivideva con me questo sentirsi perennemente a disagio e questo mi ha permesso di non sentirmi strano, diverso, anzi forte delle mie insicurezze.
In realtà ho vissuto cinque anni da studente fuorisede a Pescara e sono a Milano da un paio di mesi. In questo periodo breve però ho incontrato altri “fuorisede”, altri che come me competono per sentirsi sereni, a casa, almeno una volta nella vita, almeno in un posto. Questo, secondo me, rende Milano una metropoli inclusiva per chi viene da fuori. Non mi sento ancora a casa qui, ma spero che possa diventare un posto per me o che sia io a diventare una “persona da Milano” senza snaturarmi.
Sicuramente sono stato in difficoltà per la gestione della casa: avevo una serie di cose nuove da imparare. Mi accompagnava anche l’ansia per gli spostamenti con i mezzi all’inizio. Insieme a questo ho dovuto imparare a fidarmi, ma soprattutto a non fidarmi sempre: una nuova realtà ci espone a nuove esperienze positive ma anche a nuovi rischi.
Consiglio ad ogni fuorisede di vivere ogni piccolo angolo buio di solitudine, ogni accenno di malinconia, ogni istante di autodistruzione. Tutto è necessario, piangere è normale ed anzi, ci vuole coraggio nel farlo apertamente. Anche avere delle crisi è normale, ci saranno nuove emozioni, nuovi errori e danni da sistemare. Essere fuorisede significa, secondo me, sentirsi uno contro tutti per poi scoprire che ognuno, a modo suo, nel suo campo, nel suo periodo, nel suo gruppo, nasconde un possibile fuorisede.
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