SAMO(c): “Scappare dal nulla” | Intervista

Galeotto fu il punk e l’attrazione tipicamente giovanile verso questo genere. I SAMO(c) sono una band che è cresciuta insieme sperimentando diversi stili e questa eterogeneità è evidente nei testi e nella musica dei loro ultimi lavori.

Un alternative rock difficile da inquadrare per le infinite sfaccettature musicali presenti all’interno di ogni brano. “Scappare dal nulla” è il loro ultimo album e, al contrario di quanto suggerisce il titolo, insegna che la fuga non è mai la cosa giusta.

Quello di cui parlano è il loro nulla, ma ognuno di noi ha un peso o una condanna da cui è bene allontanarsi per realizzare i propri sogni.

INTERVISTANDO I SAMO(c)

Ciao! Come nascono i SAMO?

Siamo nati come band punk perché da piccoli eravamo tutti appassionati del genere, abbiamo suonato per tanti anni assieme finché non siamo maturati sia musicalmente che come persone, aprendoci a nuovi stili e influenze.

Che tipo di percorso fa un vostro brano, dall’ispirazione alla produzione?

Per questo album abbiamo lavorato molto partendo dai riff di chitarra per poi strutturare le canzoni. Jacopo si presentava in studio con alcune idee e da quelle partivamo per scrivere la musica, i testi venivano scritti in parallelo e alla fine si metteva tutto assieme.

Si percepisco diverse influenze nel modo in cui suonate. Potete dircene qualcuna?

Vi diamo tre nomi: in ordine Verdena, Afterhours e Ministri, che per noi rappresentano una triade sacra da cui vengono le influenze più importanti. Pensiamo che in Italia in questo momento non si possa fare alternative rock senza prescindere da loro. Rappresentano la base da cui partiamo per immaginarci di portare avanti il genere.

“Ammali il mio sguardo sempre indifferente”. Cosa spinge una persona all’indifferenza?

L’indifferenza porta ad altra indifferenza, o almeno in questo caso. Raccontavamo di una situazione di stasi in cui non si viene ricambiati in amore e questo alla lunga porta all’indifferenza perché il sentimento se non coltivato si esaurisce.

Di che “nulla” parlate nel titolo del vostro ultimo album? E qual è il modo migliore per scapparne?

Il nulla di cui parliamo è in realtà molteplice, ci sono tanti tipi di nulla da cui costantemente cerchiamo di scappare: la provincia, i vecchi, l’impossibilità di realizzarsi e realizzare i propri sogni. Si tratta di paure che ci attanagliavano mentre scrivevamo questo album, e che non siamo ancora riusciti a lasciarci alle spalle, perché la soluzione non è scappare, è un falso mito che la fuga risolva i problemi, la nostra fuga è stato scrivere questo album, si fuggono le paure affrontandole direttamente. Abbiamo cercato di rendere quello che ci schiaccia la cosa che ci spingerà ad andare oltre.

Come definireste il panorama musicale attuale, italiano e non?

Sfaccettato e sfaldato. Sfaccettato perché c’è sovrabbondanza di artisti e idee che di per sé non è un male, se non fosse per il fatto che è sfaldato cioè manca di unità dal punto di vista del sistema. Gli ascoltatori sono molto più propensi ad ascoltare musica contaminata, più di quello che gli artisti stessi pensano. Il discorso sarebbe da fare dal punto di vista dell’industria musicale tutta, non poniamoci limiti con i generi perché siamo tutti pronti ad ampliare i nostri orizzonti. Bisognerebbe ridistribuire la visibilità perché attualmente ciò che non è mainstream o non aspira ad esserlo viene schiacciato dai vari artisti di punta, alla fine rimane che in un mondo il cui le scelte sono pressoché infinite torniamo sempre dove sappiamo senza che ci venga data la possibilità di ascoltare altre voci.

Che rapporto avete con i social?

Abbiamo un pessimo rapporto con i social in generale perché forieri di un messaggio intrinsecamente sbagliato sull’apparenza. Costringono ad uno standard a cui non ci sentiamo di poter aderire, anche per via della nostra timidezza, e facciamo fatica a mostrare il nostro lato migliore, qualcuno ci chiama depressi, il fatto è che non ci rispecchiamo nella società. E i social sono una manifestazione del rito laico a cui tutti quotidianamente ci accingiamo per identificarci e rispecchiarci come individui, senza considerare che possiamo essere diversi anche nelle modalità di rappresentazione. È per questo che facciamo musica: per veicolare un nostro messaggio che altrimenti non potremmo esprimere.

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