Aigì: “È difficile capire e conoscere chi siamo” | Intervista
Quando si arriva alla soglia dei 30 anni , quando non si è né giovani né vecchi, è normale fare un confronto tra quello che si è rispetto a quello che si sognava di diventare da bambini. A volte però rimane difficile riuscire a trovare la propria dimensione.
Aigì, con “Io che non” inizia ad andare per esclusione, mettendo da parte tutto quello che non è, per cercare di conoscersi meglio.
“Come sto? Non lo so” è risposta sincera perché non è vero che va sempre tutto bene!
INTERVISTANDO AIGÍ
“Come stai” in realtà è una domanda stupida?
“Come stai?” non è mai una domanda stupida. Essendo un convenevole è ormai quasi banalizzata, per cui è diventata una di quelle domande che rivolgiamo spesso senza il reale interesse di ascoltarne la risposta. Per lo stesso motivo finiamo col rispondere “bene” di riflesso, senza pensarci. “Io che non” vuole essere una risposta sincera (per lo meno a me stesso) a questa domanda.
Perché l’uomo sente il bisogno di dare una definizione a tutto?
Perché definire le cose le rende identificabili, e ciò che si può identificare ci aiuta a orientarci. Per questo motivo questo singolo è il singolo “del disorientamento”.
Con il brano “Io che non” hai scelto una visione meno globale ma più personale? Che effetto ti ha fatto usare la musica come chiave di lettura per conoscere meglio te stesso?
Sì, è molto personale questo brano. Cerco di mantenere sempre una fedeltà a quello che sto provando, lo trovo veramente terapeutico e utile per l’autoconsapevolezza.
Da bambino cosa sognavi di diventare?
Da bambino sognavo di diventare tante cose: calciatore, poeta, pianista. Scherzando potrei dire che quello che sto facendo adesso è cercare di unirle tutte: le ultime due con la musica, la prima con il calcio dilettantistico (niente di serio, ma preso abbastanza seriamente).
In che posizione ti poni tra l’essere e il non essere?
Io credo nella fluidità delle persone (per questo è difficile definirsi), ma senza perdere di vista l’importanza essenziale del riconoscere una propria identità. In “Io che non” cerco di farlo partendo da quello che, appunto, non sono.
“Piazzale Michelangelo” può essere un luogo adatto per riflettere sui misteri della vita?
Piazzale Michelangelo lo reputo piuttosto un luogo in cui godere della bellezza della vita, i misteri possono aspettare.
Per i giovani d’oggi sarà più difficile anche essere vecchi?
Credo che noi giovani d’oggi soffriamo molto il senso di inadeguatezza anche perché non siamo mai abbastanza giovani o abbastanza grandi.
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