PH.Matete Martini

Sick tamburo: Affrontare un viaggio nell’esistenza umana | Indie Talks

Di Filippo Micalizzi

Uno dei punti fondamentali dell’affrontare un viaggio, che esso sia metaforico o letterale, è quello di imparare qualcosa, sta poi a noi decidere cosa farne. Le scelte sono due: o usare ciò che si è imparato per evolversi in qualcos’altro, o abbandonarsi totalmente al passato respingendo qualsiasi idea di cambiamento.

I Sick Tamburo con “Non credere a nessuno” ci raccontano il loro viaggio, che con consapevolezza li ha portati a ripercorrere le tappe fondamentali della vita, fatta di momenti a volte spensierati a volte intimi e malinconici.

In questo nuovo Indie Talks di queste tappe ne abbiamo parlato direttamente con Gian Maria Accusani, frontman e fondatore della band.

SICK TAMBURO X INDIE TALKS

“Non credere a nessuno” è un album che abbraccia molti temi, uno tra tutti la consapevolezza di sé, che ritroviamo anche nella scelta del titolo. Puoi raccontarci qualcosa sulle sue origini?

Il disco è nato nella sua grande maggioranza durante il periodo della pandemia, quindi c’è stato tempo di riflettere su quello che è stato e quello che stava succedendo, ed è nato questo insieme di cose che in qualche modo sono un viaggio nell’esistenza umana. Ogni canzone è come se fosse una vera e propria tappa obbligata che ognuno di noi nell’arco della sua vita ha affrontato. Quindi una canzone è legata ai primi abbandoni, alle perdite, alla consapevolezza del tempo che trasforma le cose, le prime deviazioni di cui ci si rende conto, fino ad arrivare all’ultima tappa che è quella del commiato della vita. Un vero e proprio viaggio nell’esistenza umana.

Rimanendo sul tema del viaggio, ascoltando “Suono libero”, prima traccia del disco, sembra già di essere arrivati ad un punto d’arrivo, non solo nel testo ma anche nell’arrangiamento che risulta più “allegro”, mentre proseguendo con gli altri vengono fuori tutti i temi più pesanti e malinconici. Perché hai scelto di inserirlo proprio come prima traccia?

Beh, proprio per questo. La consapevolezza delle cose forti, brutte e potenti che ti succedono alla fine ti aiuta spesso alla risoluzione o quanto meno alla declassificazione del problema. Accettando ciò che ci viene addosso, anche le cose brutte, in qualche modo si può crescere, la prima traccia è “Suono libero”, proprio perché si è cresciuti e si ha una tranquillità che prima non si aveva.

Sempre in questo brano dici: “Libero di fare cose normali, decido io cosa significa”. Cos’è per te la normalità?

La mia normalità è stata sempre in contrapposizione con quella degli altri, perché già da piccolo ho cominciato a frequentare ambienti che erano tutto meno della normalità, o io stesso faccio un lavoro che a parte quando devo andare in giro a suonare, mi alzo quando voglio e lavoro quando voglio, magari tutta la notte.

Poi la normalità chi la decide? La decide ognuno per sé. Andare a lavorare in banca, quella è una normalità, mentre fare il musicista e andare a dormire alle sei di mattina è un’altra. Negli ultimi anni però ho scoperto il bello di quella che è considerata dalla massa la normalità, per me prima era impensabile andare a sedermi al sole e rilassarmi un attimo, adesso una cosa del genere è quella a cui ambisco di più, e questa è una normalità più legata a quello che ti insegnano da piccolo. Quindi quel “decido io cosa significa” è legato al momento in cui oggi mi ritrovo a vedere la normalità in quella che vedo negli altri.

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In “Per sempre con me” è presente l’unico featuring del disco, vale a dire quello con Roberta Sammarelli dei Verdena, da dove nasce questa collaborazione?

Io e Roberta ci conosciamo davvero da tanto tempo. Nell’ultimo periodo del covid ci siamo avvicinati di più e abbiamo capito di avere tanti gusti musicali simili, e quindi mentre stavo facendo il disco avevo questa canzone che non ero sicuro di mettere dentro. L’ho sentita e le ho detto “Robi ho questo pezzo che forse voglio mettere dentro il disco, te lo mando e mi dici cosa ne pensi?” Quindi glielo mando, mi dice che le è piaciuto molto e nel momento stesso in cui mi dice così mi è venuto in mente di dirle “sai cosa? secondo me devi cantarlo tu con me” e così è nato, in maniera molto semplice.

Ne “Il colore si perde” parli di come accettare l’inevitabilità del cambiamento, ma c’è qualcosa per cui lotteresti pur di preservarla?

Ho sempre lottato per le cose a cui tenevo veramente, solo che lotti e sai che comunque sarà una sconfitta. Contro la natura alla fine non ci puoi andare, ed è chiaro che per certe cose lotti fino alla fine però è giusto farlo con la consapevolezza che se non funziona lo devi accettare, e nel momento in cui le accetti diventano meno dolorose.

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Sono passati molti anni dal precedente disco di inediti, in questo tempo cosa hai capito di te stesso?

In questo lasso di tempo ho fatto uscire un album dei Sick Tamburo di dieci brani riarrangiati in chiave “punk melodico” e lo abbiamo portato in tour, prima di questo sono stato in giro con uno spettacolo che si chiamava “Da grande faccio il musicista” dove raccontavo il mio viaggio nel mondo della musica, quindi diciamo che realmente fermo non lo sono mai stato. Poi come dicevo prima ho pensato a questo disco, perché mica ci pensi e un secondo dopo lo fai, ci vuole il tempo per maturare dei pensieri ed è quello che è successo insomma. 

Il disco a grandi linee mantiene dei suoni malinconici, una sorpresa è stato invece l’arrangiamento orchestrale di “Certe volte”, brano di chiusura. Era già nell’idea iniziale di chiudere così?

Quel pezzo lì è uno dei pochi che avevo già. Lo avevo fatto diversi anni fa e spesso ho cercato di inserirlo dentro un disco, poi essendo un arrangiamento molto diverso non mi risultava mai facile farlo. In questo disco invece per una serie di ragioni ci stava bene come chiusura, perché questo disco raggruppa tutte le varie situazioni sia musicali che di lirica dei vari periodi dei Sick Tamburo, quindi ho pensato di chiudere con questo che comunque come il primo brano ha un andamento molto allegro e finalmente sono riuscito a metterlo dentro anche perché per me aveva un testo molto importante.