Maitea: “Io sono il mio disco” | Intervista

Il primo disco della cantautrice Maitea ha lo stesso nome dell’artista e diventa un biglietto da visita per raccontare agli altri chi è, ma soprattutto ci da la possibilità di renderci conto di quanto le persone, anche se non si conoscono, sono più simili di quanto credano.

Quando incontrano il dolore tendono a chiudersi dentro un Armatura,  provando a correre via tra le Foglie Sparse alzate dal Vento, o addirittura lasciano le impronte sulla Neve, soffice come la Lana.

Sarà capitato a tutti di provare a fare dei Sogni a metà, Chissà, magari mentre si è incantati a Guardare il soffitto, immaginando di poter raccogliere Pezzi di cielo.

Spesso abbiamo paura persino di noi stessi, Maitea attraverso la musica prova ad accettarsi e a capirsi senza il bisogno estremo del giudizio.

INTERVISTANDO MAITEA

Come ti descrivi a te stessa? 

La difficoltà di descrivermi a parole è una delle principali ragioni per le quali scrivo canzoni…lascio che siano loro a descrivermi al posto mio.

Che lavoro di ricerca c’è stato dietro alla nascita di questo disco?

Con questo disco volevo mostrare le diverse sfumature di me senza però rischiare di cadere nell’incoerenza. Insieme a Marco Sirio Pivetti, con il quale ho prodotto l’album, e con i musicisti abbiamo cercato di unire le mie varie influenze musicali per creare un filo conduttore tra i brani apparentemente molto diversi tra loro e secondo me siamo riusciti a creare una buona sintesi tra il sound pop folk dei miei primi singoli, la mia parte più rock e l’atmosfera sognante e dream pop data dagli elementi di elettronica. 

PH: Lorenza Depeder

Il dolore alla lunga fortifica diventando armatura?

Esatto, le ripetute delusioni ci spingono a crearci una corazza per cercare di renderci immuni alla sofferenza. Spesso però finiamo per abusarne e precluderci delle possibilità per paura di abbassare lo scudo e mostrarci nella nostra fragilità.

Quanto è difficile arrendersi alla verità?

 “Cosa vuoi che sia?” (auto-cit.)…prima o poi ci si fa l’abitudine. “Chissà” è un insieme di domande sul senso della vita? Il testo delle strofe di “Chissà” è stato scritto da Mariavittoria Keller, contenuto nel suo libro “DiVento”, quindi dovremmo chiederlo a lei! Nel suo libro il testo si intitola “Curiosità” e io personalmente l’ho interpretato come una serie di domande su cose che potevano essere ma non sono state; cose che potevano essere viste ma non sono state guardate; cose che potevano essere sentite ma non sono state ascoltate. Lo sfogo di una curiosità che è stata lasciata in disparte e assetata.

PH: Lorenza Dapra

Pensi che abbiamo il vizio di sprecare l’amore?

 No, credo che l’amore non sia mai sprecato…anche quando ci fa soffrire. L’importante è non abituarsi all’idea che soffrire per amore sia giusto e pensare di più a cosa ci fa stare realmente bene. 

Stare nella natura ti rilassa? 

Stare nella natura mi regala diverse emozioni in base a quello che sto vivendo nella mia vita in un determinato periodo; a volte mi commuove, a volte mi fa pensare, a volte mi rilassa e mi regala gioia incondizionata, e in ogni caso mi ispira. 

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