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svegliaginevra non ha più bisogno di “Nessun dramma” | Indie Talks

Con il suo secondo album, “Nessun dramma“, svegliaginevra torna prepotentemente sulle scene, cambiata ma anche sempre la stessa, per parlarci di ciò che tutti viviamo.

Seduta sul divano rosso dello studio sembra ieri quando parlavamo d’amore e di sofferenza, di “Simone”, e di tutto ciò che è stato. E ora, più grande e consapevole, mi dice che ha capito come vuole viversi questo enorme e meraviglioso dramma che è il vivere: consapevole che, alla fine, non c’è “Nessun dramma”.

SVEGLIAGINEVRA X INDIE TALKS

Hai associato una tipologia di dramma a ciascuna delle dodici tracce. Per esempio: “Non mi piace” ha il dramma del lasciarsi; “Stare con te” parla del dramma dell’amor proprio. Partiamo a monte: perché proprio il dramma? Perché hai scelto questo tema?

Perché il dramma è sicuramente qualcosa che ci accomuna tutti e senza ombra di dubbio è una mia caratteristica farne un dramma, forse anche grazie alle mie origini campane. Mi affascinava l’idea di parlare di diversi drammi per poi accomunarli tutti in un’unica soluzione, che è quella di non fare di un dramma un dramma. Quindi è tutto partito da un pezzo che si chiamava “Nessun dramma”, da cui poi ho collegato tutte le altre canzoni portatrici dello stesso messaggio.

Che è “non farne un dramma“…

Esatto: vivere la vita con leggerezza, cercare di affrontare il dolore e superarlo e trasformarlo quasi in un dono come se fosse un qualcosa che succede per rimetterci in pista e capire dove dobbiamo andare.

E ce la stai facendo?

Ci sto provando. Mi rendo conto che sono molto brava a dare consigli mai poi nella vita privata non seguo esattamente quello che dico nelle canzoni. Mi sento però parte delle persone che lo ascolteranno. Anche io dovrò ricordarmi grazie a questo disco di prendere la vita in maniera più leggera e meno drammatica.

In “Ghiaccio” canti: «Meglio non sfiorarci mai. Meglio immaginarlo bello quel momento». Parli di quello che è un po’ un sentimento generazionale riguardante le relazioni interpersonali oggi: siamo abituati al fatto che sia meglio non fare una cosa o lasciarla essere semplicemente un’idea idilliaca piuttosto che rischiarsela. Siamo ormai allenati ad essere costantemente connessi e vicini senza saperci più mettere in gioco davvero. Parliamone.

Con questa canzone volevo sicuramente parlare di un tema molto grande, che è quello dell’attesa, tant’è che ho citato “Il sabato del villaggio”. È un’ottima chiave di lettura per il modo in cui la generazione di oggi affronta la vita: procrastinando, essendo un po’ più superficiale, basandosi più sull’estetica che sul contenuto e non vivendosi le cose, ma semplicemente aspettando che accadano.

Volevo parlare a questa generazione affrontando il tema dell’amore sui social. Oggi ci nascondiamo, viviamo vite irreali, immaginarie, e non la vita concreta, quella vera. La paura di vivere veramente porta anche alla paura di affrontare i rapporti. Siamo così abituati a nascondere le imperfezioni e ad un’idea di perfezione obbligata che quando c’è il rischio che una cosa non vada come vogliamo, non siamo disposti a rischiare e fallire.

Forse è per questo che le relazioni vengono vissute con un po’ più di distacco e superficialità, perché comunque non è accettabile fallire neanche in un rapporto.

Sì, perché non ci sentiamo all’altezza di un’idea di relazione perfetta, quindi perché rischiare? Dovremmo semplicemente ridimensionare un po’ e tornare all’essere umano che ha delle debolezze ed è giusto che le abbia, senza la paura di essere giudicati per questo.

In tutto l’album hai fatto un lavoro introspettivo, ma sei riuscita a farlo diventare universale, dato che in almeno uno di questi drammi ci siamo ritrovati tutti. L’avevi già pensato così questo album, oppure è qualcosa che è successo in itinere?

La consapevolezza che i pezzi avessero un unico comun denominatore c’è stata dopo, ma io sono partita scrivendo canzoni solamente con lo scopo di dare un messaggio. Questo mi ha fatto rendere conto che in realtà la cosa in comune che avevano tutte le tracce era proprio la voglia di vivere con leggerezza tutto. Quindi dramma era la parola chiave: riconoscere il dramma, affrontarlo, viverselo e superarlo. Il fil rouge è arrivato dopo, come nel cruciverba, sulla Settimana Enigmistica, quando unisci i puntini: mi è apparsa quell’immagine.

Parliamo di musica: all’interno del disco ci sono molte influenze, diverse tra loro, ma i dodici brani che lo formano sono coesi e coerenti. Dal punto di vista sonoro, come hai studiato l’album?

È stato difficile partire con le prime canzoni. Mi sono ritrovata al secondo disco completamente persa. Nel primo, quello più istintivo, ho tirato fuori quello che dovevo, senza pensarci troppo. Nel secondo invece ho voluto sperimentare tutto quello che potevo musicalmente per capire dove volevo arrivare. In questo terzo disco qua mi sono resa conto che sono molto vicina a ciò che volevo fare: voglio essere sicura dei messaggi che voglio mandare. Ho studiato per questo tanto cantautorato e tanto tanto pop, analizzando artiste che hanno saputo dare a concetti complessi una semplicità che ha permesso loro di arrivare a tutti.

Ti seguiamo dall’inizio del tuo percorso, quindi sappiamo bene che hai sempre parlato d’amore: da “Come fanno le onde” a “Due nell’universo”, come pensi sia cambiato il tuo rapporto con l’amore?

Brava, mi piace questa domanda! Sicuramente ho ancora le mie problematiche, è durissima affrontare le relazioni oggi, però secondo me lo switch che senti in tutto “Nessun dramma” riguarda una maggiore consapevolezza e soprattutto la capacità di andare oltre: ho parlato di amori e storie che non sono solo mie. Ci tenevo a parlare di tematiche che potessero servire alla gente che lo ascolta, me compresa, andando a sviluppare amori che non ho vissuto in prima persona e da cui ho imparato.

Parlando dell’estetica e l’artwork del disco, tu rappresenti il modo in cui vorresti che le persone reagissero al dramma. Si tratta di apatia o è un lasciare semplicemente che le cose accadano?

Non si tratta di apatia, è accettazione. È consapevolezza che il dramma sia avvenuto: una reazione che non evita, ma affronta, perché, lo sappiamo, il dolore per essere superato va affrontato. È un modo prepotente e consapevole di dire: “Ok è successo questo dramma, lo accetto e vado semplicemente avanti.

Benedetta Fedel

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