Matteo Cozze: “Vediamo i colori di quello che sentiamo” | Intervista

PH: Matteo Semeraro

Matteo Cozze: “Vediamo i colori di quello che sentiamo” | Intervista

“Durante un periodo della mia vita percepivo il colore blu con un intensità più forte del normale, a volte può capitare di essere attratti da alcune sfumature, forse perché inconsapevolmente guardiamo un mondo con un filtro scelto dalla nostra mente”

In alcuni casi tutto pare essere un po’ più triste, anzi citando Matteo Cozze la tonalità potrebbe essere un “PANTONE108”, un giallo malinconico, ma allo stesso tempo pieno di speranze. Un urlo di felicità che fa rumore nel silenzio.

L’ultimo brano è nato in un periodo in cui emotività e negatività si sono scontrate portando da una parte preoccupazione e dall’altra la voglia di sistemare tutto ciò che non andava e trovare un modo per uscire da quella situazione.  Così nasce questa canzone dove il futuro è ancora in lotta con le ferite del passato, anche se la consapevolezza che ne nasce da la possibilità di trovare nuove energie per andare avanti, passando oltre un momento no.

Ora voglio solo ridere, ora smetto di piangere, questo è l’invito e la scelta di Matteo Cozze, giorni Pantone 108 è un colore diverso che prova a nascondere il nero della paura.

INTERVISTANDO MATTEO COZZE

La tua musica che colore ha?

La mia musica sicuramente ha diversi colori, soprattutto in tonalità pastello.

I colori pastello non sono accesi come gli altri tipi di colore, anzi, sono più tenui, come se ci fosse un tocco di malinconia e cupezza.

Ecco, la mia musica è un po’ questo: canzoni colorate con testi tristi.

“Pantone108” é la dimostrazione che il nostro mood condiziona quello che vediamo?

Assolutamente si.

Se la nostra psiche si trova in un luogo un po’ più “oscuro”, automaticamente tutti i sensi del nostro corpo tendono a percepire quello che ci circonda in modo negativo. 

Spesso mi è capitato di cantare ad eventi davvero belli che aspettavo con tanta emozione, ma le paranoie e le insicurezze hanno preso il sopravvento e non mi hanno fatto vivere al cento per cento il momento.

La nostra mente è tanto amica quanto nemica.

PH: Alessio Beri

Cosa chiedi alle tue insicurezze?

Alle mie insicurezze vorrei chiedere un attimo di pace, ma so che me le porterò fino al mio ultimo giorno. 

Oltre a questo, chiederei di presentarsi in momenti di riflessione e analisi personale, non in momenti di gioia e serenità. Chiedo troppo? Forse si.

Vuoi provare a raccontare con un piccolo aneddoto l’ironia della vita?

Se dovessi scrivere di tutte quelle aspettative che mi faccio ogni giorno e che non accadono, farei prima a pubblicare un libro.

Un aneddoto in particolare, però, c’è?

L’anno scorso mi dovevo esibire ad una serata dove a turno si saliva sul palco, si cantava una canzone e poi si scendeva. Era una della prime volte che mi esibivo live, quindi la situazione, per quanto agitato fossi, era molto tranquilla. Peccato che la mia chitarra poco prima di esibirmi mi ha proprio detto: “io stasera non suono” e *TING*, corda saltata. Io nel panico più totale perché pensavo a chi me lo faceva fare e a quando potevo sembrare ridicolo a suonare senza una corda. 

Fortuna che comunque una persona presente lì mi ha prestato la sua chitarra e tutto si è risolto.

Hai mai provato ad opporti, anche senza riuscire, al fatto del tempo che scorre?

Molte volte, ma con scarsi risultati.

Mi rendo conto che il tempo mi fa proprio paura, perché sa scorre sia in modo fulminio che in modo fiacco. Ho ventiquattro anni e tutti mi dicono che di tempo ne ho per fare tutto quello che voglio, ma io mi sento già in ritardo ora; in questo mondo che cambia e si muove velocemente, mi sento come se fossi in una gara di macchine e io fossi in biciletta.

Prentendo spunto da una tua canzone, c’è un quadro di “Van Gogh” che ti appassiona particolarmente?

Decisamente l’opera raffigurante la sua stanza ad Arles.

Probabilmente la sua rappresentazione di stanza era più sofferente e complessa, ma per me, nella mia stanza, trovo intimità e serenità mentale; è un luogo dove tutto è concesso e non esistono sbagli. È il luogo dove nascono tutte le mie canzoni.

 Sei d’accordo che fare arte è un modo per non implodere?

Non posso che essere pienamente d’accordo.

L’arte, in qualsiasi sua forma, esterna dei mondi interni che non sappiamo neanche di avere. Nel mio caso, ad esempio, scrivere canzoni mi ha aiutato a metabolizzare certi momenti di vita; se non l’avessi fatto, sicuramente oggi avrei ancora delle ferite aperte.

PH: Matteo Cozze