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PH: Giovanna Buda
sonomole: “L’amore come l’onda perfetta” | Intervista
“Pensami stanotte quando tutto sarà buio, soli in mezzo al mare tra le onde e il diluvio”, così inizia a rappare sonomole dopo la intro/ritornello di Claudia.
Cloudbreak è uno dei posti preferiti dai surfisti che si trova precisamente nell’isola di Tavarua nell’arcipelago delle Fiji, qui viene quindi inteso come un luogo dove è possibili trovare la pace, sfidando anche il pericolo.
Ecco, ascoltando la canzone e questo dialogo a due viene in mente una storia d’amore che può vivere di alti e bassi, fatta di sentimenti intensi dai quali si può provare o a scappare o a controllare per trovare non solo equilibrio, ma anche spunto per superare le difficoltà in maniera eroica e sfacciata.
INTERVISTANDO sonomole
Che cos’è una cloudbreak e da cosa è nata l’ispirazione per questo brano?
La cloudbreak è un particolare tipo di onda che si forma nell’arcipelago delle Fiji, precisamente sull’isola di Tavarua. Per chiunque faccia surf/sia appassionato è “The wave”, l’onda perfetta, e per quanto si possa trovare anche a 3 piedi di altezza, dai 6 piedi in su diventa qualcosa di più complesso e complicato da cavalcare, roba solo per i più esperti.
Io nel mio piccolo sono un appassionato di surf, pratico da 2 annetti windsurf ed una sera, banalmente, mi sono piazzato davanti ad un documentario sulle Fiji e tutto quello che si è venuto a creare intorno alla cultura del surf in quell’ arcipelago pazzesco. Sarà che il documentario era fatto particolarmente bene, sarà che il mare e la spiaggia sono, insieme allo studio, il mio posto felice, o forse il fatto che trovi similitudini ovunque e su ogni cosa, fatto sta che il mio cervello ha associato la difficoltà dell’onda perfetta all’amore, come se riuscire a trovare e cavalcare la cloudbreak sia come trovare e gestire una splendida storia d’amore.
L’ispirazione nasce tutta da lì: l’amore come l’onda perfetta.
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Trovare la felicità nelle scelte degli altri è una insicurezza del genere umano?
Più che insicurezza, secondo me, è più qualcosa di inevitabile. Siamo tutti facenti parte di un sistema che è influenzato da ogni singola azione di ogni singolo essere umano, il simpatico “butterfly effect”, siamo tutti dipendenti l’uno dall’altro per forza di cose.
Se vivessimo in un sistema dove la legge “ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria” non esiste, probabilmente non sarebbe così, ma siamo tutti particelle interconnesse, non esistiamo da soli. Quindi, perché la stessa cosa non dovrebbe valere per la felicità e nel trovarla negli altri, e di conseguenza nelle loro scelte, nelle loro azioni.
Non puoi sfuggire Bro, rassegnati all’essere dipendente dai sentimenti delle persone che scegli di tenerti vicino.
poveri poveri poveri è un inno per chi è senza soldi, ma ricco di sogni?
Diciamo che secondo me è più un mix di sentimenti: è la sindrome del “non ho abbastanza, ma in realtà si”, è più la una paranoia costante che ci portiamo dentro in questa corsa all’ arrivare prima di tutti, ad avere più di tutti… E così pure nei pensieri: non ci vediamo mai abbastanza, quando magari nella realtà siamo molto più di quello che pensiamo di essere.
È lo scontrarsi con questa presenza costante nella vita che è il consumismo, che dobbiamo necessariamente comprare, spendere, che siamo quello che compriamo, mangiamo, indossiamo, guidiamo… tutto è impostato su questo maledetto stereotipo che, volente o nolente, ci è entrato dentro e fa parte, anche se labilmente, della vita di tutti.
Ed è anche il chiedersi se i sogni che abbiamo, li abbiamo perché ci teniamo realmente o sono solo il frutto del: “se ci riesco faccio una barca di soldi e fanculo tutto, ho svoltato”, un “semplice” modo di sfangarla, come una scopata senza amore. Godi si, ma solo quello, non c’è altro.
“Cambiamo il mondo, ma dici davvero? Lo stai facendo per lasciare il segno? O solamente per dire qui a tutti (Cosa?) Sto mese frate è arrivato l’assegno…”
Più che un inno a chi è senza soldi ma ricco di sogni, “poveri poveri poveri” è l’inno a chi è “real” o meno, real nel senso di chi l’arte la fa per l’amore di farla e chi la vede solo come una speranza di comprare il macchinone.
Una società frenetica come quella di oggi ha tolto spazio alla pazienza e alla perseveranza?
Mah, non lo so. Secondo me, in generale, chi ha qualcosa da dire, e lo dice in modo figo, qualsiasi tipo di arte faccia, alla fine riesce sempre a ritagliarsi il suo spazio, il suo “palco”. Ma solo se ha pazienza e perseveranza, quindi le cose sono collegate. Poi, la società frenetica che viviamo ci influenza, secondo me, più nel fatto che, per il modo di vivere proprio, abbiamo sempre meno tempo per noi, meno tempo di fare le nostre cose, di ritagliarci i nostri spazi per approfondire le nostre passioni, in quello è male, perché ci porta in uno stato di ansia perenne del continuo correre altrove, del fermarsi mai, e se non ti fermi mai, con te quando stai?
Gli ultimi due singoli sono stati prodotti da Sidew, che direzione ha preso la tua musica collaborando con lui?
La giusta direzione. Aldilà del fatto che sia, banalmente, un signor produttore, quindi preparato, competente ed appassionato a questa cosa, con Simone ho finalmente avuto l’opportunità di lavorare con un produttore con cui potessi realmente discutere durante la fase di produzione del beat come del mix/master, dire in tutta tranquillità una banalità come: “ma questa cosa potremmo farla cosi invece che così, proviamo?” o “ho un idea in testa sul mix di questo suono, mi fai sedere un attimo? Lo effetto io questo” o “dobbiamo riarrangiare tutto il beat, cosi non va” cose che a te sembreranno stupidaggini, ma che in realtà non lo sono.
Molte volte per un fatto di ego personale tra artisti non si riesce a fare una roba figa, fatta bene, non perché entrambi non abbiano le qualità necessarie per farlo, ma più perché ci si scontra su robe inutili, stronzate da egocentrici. Quando si parla di “chimica in studio”, ecco proprio questo.
Ecco, Simone ha questo in più rispetto a molti altri: mette l’ego da parte. Mi ha prodotto, mixato e masterizzato tutto l’ultimo disco, gli ho fatto fare cose che non aveva mai fatto, e nonostante tutto ha portato il lavoro a casa in maniera ineccepibile, anche ascoltandomi, dando credito ai miei pensieri ed alle mie idee; in più, siamo stati 5-6 mesi in studio a lavorare da perfetti sconosciuti, non ci conoscevamo fino a prima di 8 mesi fa, ed abbiamo fatto una roba che per tempistiche puoi fare solo col tuo migliore amico/fratello, gente che conosci da una vita. L’ultimo mese, prima della dead line che mi ero prefissato per la conclusione dell’album, ci saremo visti 20-23 giorni su 30, lui vedeva più me che la sua ragazza ed il suo gatto, (ciao Nello), mi aveva cominciato a pensare come un coinquilino.
Ma tutto questo solo perché è una brava persona, un bravo ragazzo, con qualsiasi altra persona non so se sarei riuscito a fare una cosa del genere: chiudere un disco in meno di 5 mesi, è pura follia anche solo pensarlo. Se devo dirti che direzione ha preso, secondo me, la mia musica con Sidew, ti direi che ha preso l’autostrada del Next Step. (Grazie Simo, ti voglio bene)
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È difficile, per te, fare compromessi?
Da morire, se fossi capace di scendere a compromessi probabilmente sarei più avanti sul piano lavorativo. Ma è carattere, modo di essere, e mi piaccio così. Poi, nella vita i compromessi si devono fare, necessariamente, ma sono convinto che una cosa del genere vada fatta solo se ne vale la pena e se dall’altra parte c’è la stessa voglia di farlo, la stessa intenzione. Mai snaturarsi se non per acquisire una nuova sfaccettatura.
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