“Esplorare nuovi territori sonori senza dimenticare le proprie radici” | Giglio X Indie Talks

“Esplorare nuovi territori sonori senza dimenticare le proprie radici” | Giglio X Indie Talks

Di Viola Santoro

Nell’universo musicale italiano, c’è chi sceglie di esplorare nuovi territori sonori senza dimenticare le proprie radici. La protagonista di oggi è un’artista che ha saputo creare un ponte tra il suo passato ed il suo presente, mescolando sonorità tradizionali con produzioni moderne. In questa intervista, approfondiremo il suo percorso, esploreremo il significato delle sue scelte artistiche e scopriremo come le influenze culturali e personali si riflettano nella sua musica.

oggi parliamo con Giglio… preparatevi ad un viaggio intimo ed appassionato, dove ogni parola e nota raccontano una storia unica.

GIGLIO X INDIE TALKS

I tuoi testi, la tua lingua, la produzione, ciò che vuoi raccontare e trasmettere fanno parte di te. Trovo affascinante il modo in cui cerchi, costantemente, di mescolare le tue radici e il nuovo che ti circonda. Parliamo un po’ di te, dove sei ora? 

Io ora sono a Torino, nata e cresciuta qui. Ho, però, origini calabresi. Da qui, infatti, l’utilizzo del dialetto in alcune canzoni.

(Continua…)

Sì, no, è molto figo, soprattutto riuscire a far giostrare nel modo migliore le basi della produzione e il dialetto calabrese.

Parliamo più di questo, da dove nasce l’idea di fare di conciliare il calabrese stretto con produzioni innovative?

La cosa è nata un po’ per caso… Diciamo che, in generale, mi piace giocare con le parole e con la loro sonorità. Un giorno, mentre scrivevo, mi è venuta in mente una frase in dialetto e ho deciso di aggiungerla al testo (ride, ‘perché a casa parliamo anche in dialetto’). È iniziato tutto così, senza un piano preciso. Quando mi viene l’ispirazione, aggiungo questo tipo di sonorità nel testo. Non è qualcosa che mi sento obbligata a fare; sono molto libera su questo aspetto. Lo faccio solo quando il brano me lo richiede e quando mi sento ispirata in quel senso. E, ovviamente, quando succede, sono sempre molto contenta.

Lo trovo veramente particolare. Per quanta riguarda, invece, la stesura dei testi ci pensi completamente tu oppure scegli di appoggiarti anche da aiuti esterni alla tua penna?

Allora io scrivo sia testo che musica e, per quanto riguarda gli arrangiamenti, se ne occupa il mio produttore che si chiama Cali Low, sono veramente fortunata di averlo al mio fianco perché quando l’ho incontrato ho capito che era la persona giusta per me, anche da un punto di vista artistico oltre che umano, ovviamente.

È fondamentale circondarsi delle persone giuste per collaborare a un progetto musicale. Una buona sintonia è essenziale per la riuscita del lavoro. Ma ora parliamo di influenze. Quali sono i generi o gli artisti che ascolti maggiormente? E cosa pensi abbia realmente influenzato la tua musica? Quello che ascolti, o anche ciò che ascoltavi da piccola, ti accompagna quando scrivi? Oppure preferisci separare i tuoi gusti musicali, magari quelli che ascolti in solitudine sotto la pioggia, da ciò che decidi di far ascoltare al tuo pubblico?

Se avessimo fatto questa intervista qualche anno fa, la mia risposta sarebbe stata diversa, probabilmente. Mi piace definirmi la mia ‘sabotatrice’. Il rapporto tra la mia scrittura, le mie influenze, la mia voce è sempre stato complicato. All’inizio, non riuscivo a ignorare le voci esterne e interne di giudizio. Avevo paura di non essere in grado di trasformare ciò che pensavo in musica, e quindi anche le mie stesse parole mi sembravano, scusami il termine, pure stronzate.

All’inizio preferivo cantare ciò che mi piaceva ascoltare, invece di mettermi davvero a nudo. Ma quando ho finalmente smesso di dare retta a quelle voci, mi sono sbloccata. Per scrivere bisogna avere molta fiducia in sé stessi, ed è proprio questa la sfida più grande. Non bisogna mollare subito.

Ricordo che, quando scrivevo i miei primi brani, mi chiedevo continuamente: ‘Ma IO dove sono?’ Non riuscivo a staccarmi da quello che volevo provare a essere. Cercavo sempre me stessa, la vera me. I miei primi brani erano molto pop, insomma, non molto in linea con quello che faccio ora (ride…).

Dall’anno scorso, con l’inizio del mio progetto inedito, ho iniziato a riconoscermi davvero in quello che scrivo. Ho trovato il modo di mescolare le mie influenze con il mio vero IO. Sono cresciuta con la black music e il soul da una parte, e il cantautorato italiano dall’altra. Due mondi apparentemente diversi, ma che hanno entrambi lasciato un segno profondo nel mio percorso artistico. Con il tempo mi sono avvicinata anche all’urban, alla musica latino-americana, all’elettronica. Ho assorbito un po’ da tutto, e questi piccoli tasselli si vedono nella mia musica. Ne sono contenta.

In cosa ritrovi queste influenze?

Per quanto riguarda la melodia dei miei testi ci sono richiami al soul ma anche alla musica mediterranea folcloristica. Dall’altra parte ci sono suoni come l’urban ci avviciniamo più sul panorama moderno. Mi piace giocare con melodie. 

Lo trovo davvero interessante. Penso che “Santa Rosalia”, uno dei tuoi singoli, rappresenti perfettamente il tuo universo musicale. Per me è stato qualcosa di speciale, perché si percepisce chiaramente come tu abbia unito tutte le influenze che vuoi trasmettere.

Parliamo di panorama musicale italiano, ti consideri più pop, indie, elettronica, o preferisci non darti delle etichette?

Le etichette non mi sono mai piaciute, forse perché non riesco a identificarmi completamente in un genere piuttosto che in un altro. Mi piace pensarmi come un mix di influenze eterogenee che però, alla fine, trovano una loro omogeneità. I miei ascolti musicali hanno sicuramente giocato un ruolo importante in questo: da una parte la black music, dall’altra il cantautorato italiano. Non sono mai riuscita a rinunciare a uno dei due, e questo si riflette inevitabilmente nella mia musica. Per questo motivo, non saprei darle un’etichetta precisa. Se proprio dovessi, la definirei urban folk: da un lato ci sono le influenze urban e r’n’b, dall’altro quelle più folkloristiche e cantautorali.

Parliamo di futuro… che idee hai?

Assolutamente sì, anche se per ora non posso svelare troppo. Posso anticipare che il 2025 sarà un anno ricco sotto molti aspetti. Stiamo lavorando su nuova musica, e ci saranno presto aggiornamenti. Restate sintonizzati…

Tu, il foglio, il microfono e delle cuffie… qual è il processo creativo?

Il processo è sempre stato molto naturale e spontaneo. Fino ad ora mi è sempre capitato di raccontare la realtà nei miei pezzi. Che si trattasse della mia vita o di quella degli altri, era sempre qualcosa di reale ed esistente, mai inventato. Anche questo brano, Sempre Lei, è autobiografico. Mi piace un po’ sdrammatizzare, ironizzare, e lo definisco ‘il brano delle sottone’ perché, fondamentalmente, parla di me.

A differenza di Santa Rosalia, che è più cupo e intenso e affronta un argomento decisamente pesante, Sempre Lei ha un’atmosfera più leggera, quasi da festa. La canzone, soprattutto per il sound, sembra frivola, ma c’è un messaggio preciso: un invito ad aprire gli occhi, sia per gli altri che per me stessa, e a rompere quei cicli continui in cui spesso tendiamo a ricadere.

Spesso tendiamo ad accusare l’altro per quello che non va, quando in realtà anche noi abbiamo la nostra parte di responsabilità. Per quanto l’altra persona possa avere le sue colpe, finché non cambiamo noi stessi, finiremo sempre per ricadere nelle stesse situazioni e ad attrarre lo stesso tipo di persone. 

Perché accade? 

Fondamentalmente, nel momento in cui ci troviamo messi in secondo piano per qualcun altro, abbiamo già la risposta. Non serve cercare spiegazioni più precise o dettagliate: in quel momento dovremmo tagliare e non permettere più a nessuno di relegarci in secondo piano. Eppure, troppo spesso restiamo lì, a chiederci se forse le cose cambieranno.

Forse è anche perché, in qualche modo, ci sentiamo più al sicuro. Ricadere sempre nella stessa persona o in una situazione simile, anche se con persone diverse, ci fa sentire in un certo senso a casa, anche se è una casa che ci fa soffrire. È come un circolo che continua a riportarci sempre nello stesso punto. E credo che questo sia ripreso anche dalla musica della mia canzone: un mood un po’ ipnotico, quasi da loop, che riflette proprio questa tendenza a tornare sempre allo stesso punto, senza riuscire a uscire…

Infatti, anche il ritornello è stato scritto appositamente in questo modo: una ripetizione costante delle stesse due parole, proprio per martellare in testa quel concetto che spesso ci perseguita, quando c’è sempre ‘un’altra’ che ci prende il posto. Tutte le situazioni sembrano finire allo stesso modo, e come hai detto tu, è vero che spesso ci ricadiamo perché, per quanto possa essere una situazione negativa, è qualcosa di conosciuto. Magari alla fine ne usciamo senza ottenere quello che volevamo, ma almeno sappiamo cosa aspettarci. La nostra mente, in un certo senso, preferisce la familiarità di una situazione tossica piuttosto che il rischio di qualcosa di nuovo e sconosciuto.

Nel finale, poi, ho voluto inserire una sorta di ‘chicca’, un riferimento a quello che spesso ci viene insegnato sin da piccole. Quante volte, da bambine, ci è stato detto da una mamma, una zia o chiunque altro che ‘se un bambino ti tratta male, in realtà lo fa perché gli piaci’? Ecco, basta con queste assurdità. È ora di smettere di credere che se qualcuno ci tratta male sia segno di interesse, perché è una bugia. Non dobbiamo più accettare queste ‘scuse’ che ci fanno solo del male.

Grazie, Giglio. Buona Musica, ed ancora complimenti. 

Grazie a voi.