Bubble Tea | Indie Tales

Bubble Tea | Indie Tales

Di Stefano Giannetti

La discesa cremosa e gelida lungo la sua gola e lo schiaffo al gusto di lampone avrebbero l’effetto di un massaggio eseguito bene, se a Eva non tremassero le mani mentre sorregge il bicchiere di plastica del suo bubble tea. Oggi più del solito: di questo upgrade non sa il perché e non vorrebbe venirlo a sapere. Ma la prova del nove la fa lo stesso. Prende il telefono, legge l’orario. Il cellulare si sblocca. Preme sull’icona di WhatsApp. Chiude gli occhi. Inspira ma le esce un gemito. Li riapre. Nessun messaggio.

Si sorregge di nuovo al recipiente con la cannuccia, come fosse più solido del tavolo. Butta fuori tutta l’aria. L’iPhone l’ha abbandonato di colpo. A momenti lo faceva cadere sui sampietrini. Ha tolto le notifiche della qualsiasi, ha messo la modalità aereo ma è agganciata al Wi-Fi del bar.

“Sono le 18. Ho ancora due ore.”

Si raccoglie i capelli ondulati rossi in una coda alta, le danno fastidio addosso. Dall’altra parte della strada c’è una fumetteria. La vista dei rossi, gialli, blu e viola sgargianti delle action figures in vetrina, insieme all’abbondanza di tempo a sua disposizione, le calmano battito e respiro. Finché non accade l’impensabile che riaccelera i suoi ritmi interni e le provoca claustrofobia. Il cellulare vibra e ronza sul tavolino. Non osa guardarlo, ma si morde il labbro e batte il pugno.

“Le chiamate WhatsApp. Cazzo, il Non disturbare. Mi sono scordata di metterlo.”

Tira indietro la testa, schiena incollata allo schienale. Richiude un occhio e solleva il telefono come se scottasse.

Era Mara, grazie a Dio.

Risponde subito. Tenta di nascondere il sollievo ma i polmoni liberati parlano più della sua bocca.

«Dimmi.»

Sente la voce dell’amica sia dall’orecchio impegnato che da quello libero.

«Rincoglionita, sto qua dietro.»

Mara la raggiunge col sorriso che le scompare gradualmente ad ogni battuta di tacco delle sue décolleté bianche sul suolo.

«Oh, Eva. Stai bene?»

«S-sì, perché?»

Ha risucchiato la saliva, nel dirglielo. Ma sta bene davvero, ora che sa che era lei a cercarla.

«Perché sei sbiancata. Hai visto un fantasma? Sono così brutta, oggi?»

Eva scaccia la sua domanda con la mano, come si fa con una mosca.

«Siediti.»

L’amica fa il giro del tavolo, appende la borsa alla sedia di plastica nera, che accosta di molto al tavolo dello stesso colore quando si accomoda. Ma ancor di più avvicina la testa a quella di Eva. E dopo essersi guardata intorno, sussurra.

«Già. Dovevo proprio sedermi. Avevamo appuntamento io e te. Era qua, ho dedotto. Tu ami il bubble che fanno qua. Fino alle…»

Scruta l’Apple Watch.

«… Vediamo… 19 e 45? Ci metti un quarto d’ora a tornare a casa, no?»

Eva si volta di nuovo indietro, così veloce che la coda le frusta la fronte lentigginosa, prima di sgranare gli occhi nocciola e interrogare Mara, col fiatone.

«Ma tu che cazzo ne sai?»

La ragazza le ruba il bicchiere e ci gira la cannuccia dentro.

«Che dovevo uscire con te? Gesù, questa sì che è una conversazione figa.»

La indica col bastoncino di plastica, viola come il suo ciuffo davanti alla chioma nera.

«Ma devi spiegarmelo tu.»

Eva lascia cadere le braccia sotto al tavolo. Non sente alcuna forza, nemmeno per risollevarne uno e completare il silenziamento del telefono. Cosa di cui si ricorda solo ora.

Le esce un filo di voce.

«Hai incontrato Sergio?»

Mara si rilascia inclinata su un bracciolo. Annuisce.

«Eh, figlia di Dio, sì. Qualcuno doveva pur dirmelo, che esci con me tutti i pomeriggi dopo il lavoro.»

La faccia scherzosa di Mara ci mette poco ad abbandonare il campo. Per la precisione il tempo che Eva si alza e la afferra per il bavero della camicia rosa e le ringhia.

«Piantala di giocare. Dove l’hai visto? È qua vicino?»

L’amica resta immobile, in apnea. Poi le accarezza le mani ancora appese al suo collo.

«No. No, tesoro.»

Sentono un rumore. Girano le teste all’unisono. È il bicchiere col resto del bubble tea, che per l’urto di Eva rotola fino a cadere dal tavolo.

Mara indugia un attimo sulle chiazze rosse che hanno imbrattato il marciapiede e le sneakers bianche di Eva, prima di tornare ai suoi occhi.

«Che sta succedendo?»

Eva la libera dalla presa e si nasconde il volto dietro entrambi i palmi. Non ha tempo di chiedere scusa.

«Tu che gli hai detto?»

La ragazza le va a riprendere le mani. Deve scoprirla. Se non capirà dalle sue parole rotte, dovrà riuscirci dagli occhi.

«Che aveva ragione. Che dovevo incontrarti e a momenti oggi me ne dimenticavo, per un imprevisto.»

Eva non sembra reagire. Per la verità, pare altrove. Ha lo sguardo lontano.

L’altra incalza.

«Non so se ci ha creduto. Ma sembrava… tranquillo. Gli ho fatto due domande di circostanza, per non farmi sgamare. E l’ho piantato lì.»

Ora la rossa è tornata, si libera dalla stretta delle sue dita.

«Cosa gli hai chiesto?»

Mara la scruta. Non riesce a interpretare né la voce, né il corpo dell’amica.

Aggrotta la fronte.

«Boh. Cazzate. Lavoro, tipo. Ma scusa. Ti interessa quello che gli ho chiesto io e non…?»

Eva si sbottona il golfino lilla. Si sfila la fede, si allarga la mano sul petto nudo. Cercando di sedare il cuore.

«Lo so che lui non ti ha domandato più niente. Non lo ammette, quando scopre che non sa qualcosa di me.»

Racconto è liberamente ispirato al brano “Sunshine” di Laila Al Habash