merrymount!

Merrymount! | Intervista Indie Italia Mag

Di Flora Miceli

Quando hai diciassette anni e suoni in una band, la musica è il centro del tuo universo. Quando ne hai trenta, un lavoro e una famiglia, la musica è un passatempo, se sei fortunato. I Merrymount! ci raccontano una storia diversa. Ci raccontano di come una band sopravviva all’adolescenza e si ritrovi ad essere l’elemento costante della vita adulta dei suoi membri.

Così importante da portare alla pubblicazione di un disco che già dal titolo ripropone la centralità della musica nella vita dei Merrymount!  Pubblicato a novembre 2018, Heart of Universe, infatti, è il nome del disco d’esordio di questa band romagnola che si distingue per sonorità che variano dal rock al folk, passando per il brit-pop.   Noi vi invitiamo ad ascoltarlo, non prima però di aver letto quello che ci hanno raccontato i Merrymount! sull’album e sulla loro musica. Enjoy it!

INTERVISTANDO I MERRYMOUNT!

Heart of Universe è il vostro primo album. A noi è sembrato un lavoro complesso, in cui si alternano pezzi malinconici a pezzi più ritmati. Voi come lo descrivereste?

Si dice solitamente che il primo album sia il più semplice da scrivere perché ti permette di raccogliere tutto il meglio che si è riusciti a costruire nel corso degli anni. Nel caso di Heart of Universe, ci sono canzoni scritte in momenti molto differenti e temporalmente distanti l’uno dall’altro. Ad esempio “As the night falls” e “Dear Friend” sono le canzoni più anziane dell’album e furono scritte quando avevamo 18 o forse 19 anni mentre ora ne abbiamo più di trenta.

Non avevamo alcun dubbio che sarebbero state i capisaldi di Heart of Universe. Altre canzoni come “The Body”, “Sympathy” “Don’t Panic” e “Louisa” sono state scritte a ridosso delle registrazioni stesse, mentre altre sono nate in un periodo intermedio, perlopiù frutto di una parentesi acustica tra i due compositori del gruppo; una sorta di band-in-band.

Se quindi da un lato non è stato difficile trovare dei brani che potessero essere degnamente inseriti nell’album, dall’altro la difficoltà è stata quella di far sì che l’intero album risultasse un lavoro coerente e lineare, pur nelle sue diversità sonore e ispirazionali. Molti brani che abbiamo registrato per l’album sono molto diversi rispetto al momento in cui sono entrati in sala di registrazione.

Di conseguenza, per rispondere alla tua domanda, si è trattato di un lavoro molto complesso che però ci ha fatto vivere la sala di registrazione in un modo insolito. Insieme a Franco Naddei di CosaBeat Studio abbiamo dedicato intere settimane a registrarlo, scomporlo, registrarlo di nuovo. È rassicurante, al giorno d’oggi, ed a questa età, sapere di aver dedicato così tanto tempo ad un qualcosa di così totalizzante ed estraneo rispetto ai ritmi e alle attività della vita quotidiana. Siamo stati fortunati.

L’uscita del disco è stata preceduta dalla pubblicazione di quattro video-interviste in cui parlate di voi, del vostro modo di intendere la musica, della band. A chi è venuta in mente questa idea? Come mai ne avete sentito il bisogno?

L’idea, partorita insieme a Lorenzo Montanari che ha curato anche la realizzazione del video del singolo “Jokes (you love so much)”, è nata dalla convinzione che la musica sia inscindibile dalle persone che la scrivono. Quando ci appassioniamo ad un gruppo siamo attirati anche da una serie di fattori extra-musicali, superficiali e non, che spaziano dall’abbigliamento, agli strumenti che suoni ma anche ai contenuti che veicoli prima come persona che come musicista. Chi ascolta il tuo disco vuole capire perché sei arrivato fin lì e cosa si nasconde dietro le tue canzoni, perché le hai scritte, perché proprio tu e non un altro. Chi ascolta musica ha sostanzialmente necessità di riconoscersi in una serie di valori che noi, oltre al disco, abbiamo deciso di veicolare con queste micro-interviste che spiegano perché, oltre il lavoro, le famiglie, i figli, le diverse città di residenza, riusciamo ad incontrarci tutte le settimane da quando abbiamo 17 anni.

Da cosa nasce la scelta di cantare in inglese? Lo avete sempre fatto o avete composto anche dei pezzi in italiano?

Non si è trattato di una scelta, quanto piuttosto di un approccio naturale. Ciascuno di noi ha un disco nel cuore che, ad un certo punto della propria vita, lo ho stimolato a tal punto da farlo sobbalzare dal divano ed esclamare: “Hey! Anche io voglio suonare in una band”. Per ciascuno di noi, questo disco arriva da oltremanica o da oltreoceano. Si tratta della musica con la quale ci siamo sempre confrontati, con la quale siamo cresciuti e che abbiamo associato a tanti momenti della nostra vita. L’inglese ha anche avuto il pregio di essere una lingua-rifugio nel momento in cui, da adolescenti, abbiamo iniziato a scrivere.

Così facendo abbiamo potuto scrivere liberamente tutti i nostri testi su fogli di carta senza la preoccupazione che qualcuno li potesse leggere o interpretare. E’ stato rassicurante e ci ha permesso una libertà espressiva che, in qualche modo, non avremmo forse avuto scrivendo in italiano. Ormai abitiamo ciascuno per proprio conto, ma sono sicuro che nelle camere da letto di ciascuno di noi, nelle case dei nostri genitori, abbiamo ancora i cassetti pieni di questi fogli. Ogni tanto è bello riprenderli in mano, rileggerli, ritrovare il sentimento che ti ha portato a scrivere, vedere come si è cambiati nel corso degli anni. È un po’ come guardarsi allo specchio e giocare a “Trova le differenze”. La musica ha una funzione sociale straordinaria; è terapia.

Louisa, il pezzo che abbiamo scelto di inserire nella playlist di Indie Italia Mag, è una canzone d’amore. Per comporre i pezzi contenuti in Heart of Universe vi siete ispirati a episodi della vostra vita privata?

È difficile scrivere di qualcosa senza avere almeno un occhio fisso su di sé. Noi, nel dubbio, li teniamo tutti e due e, così, tutto ciò che scriviamo è figlio diretto delle nostre esperienze di vita. In fondo, “Heart of Universe” è un luogo dello spazio che non esiste e, anche se esistesse, non saremmo mai in grado di rintracciarlo con precisione. Ma si tratta del luogo da cui tutto ha avuto origine e, trovarlo, significherebbe sostanzialmente rispondere a tutte le domande che riguardano la sua stessa creazione.

Noi, nel nostro piccolo, abbiamo provato a cercare il nostro personale centro dell’universo, e le canzoni contenute nel disco sono una risposta alle tante domande che ci poniamo ogni giorno. Spesso ci hanno aiutato a crescere proprio perché ci hanno permesso di guardarci dentro, di interrogarci, di forzare una risposta, anche se impaurita.

Vi conoscete e suonate insieme da molti anni e adesso avete anche pubblicato un album. Che consigli dareste ad un gruppo di giovani musicisti? Quali sono i segreti del mestiere che avete imparato negli anni?

Se fossimo uno studio per terapie di coppia, saremmo in grado di garantire una percentuale di divorzi prossima allo zero. Purtroppo, non lo siamo, ma forse abbiamo fatto qualcosa di molto più grande.  Non è semplice suonare insieme per così tanto tempo, i confronti sono tanti e spesso serrati, ma abbiamo l’assoluta convinzione che ognuno di noi porti nel gruppo una parte di sé che gli altri non hanno. Ci vogliono impegno, passione, dedizione e, soprattutto, tempo.

Proprio lo scorso weekend, ci siamo ritirati per alcuni giorni all’interno di un cottage nelle nostre colline romagnole per scrivere nuovi brani, finalizzare gli esistenti e concederci qualche bicchiere di vino di troppo. Dedicarsi alla musica senza nessun tipo di stress e di ansie è fondamentale per fare fluire una musica qualitativa, per entrare a contatto con la propria intimità e per trovare le parole giuste da dire nel modo giusto in un di un brano. Ma la cosa più importante è soddisfare se stessi, singolarmente e collettivamente nel contesto di una band, anteponendo la propria soddisfazione sulla riuscita dei brani, alla volontà di fare un disco che piaccia.

Ascolta i Merrymount! nella playlist Spotify di Indie Italia Mag

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