Polline | Indie Tales

Sono qui seduto su una balla di fieno, le gambe a penzoloni e una birra in mano. Non mi sembra vero di essere riuscito a ritagliarmi finalmente uno spazio che sappia di estate. Mi ricordo quando le vacanze duravano mesi e sapevano di corse in bici e ghiaccioli sempre sciolti. Di libertà, pensieri che duravano poco più di un secondo. Perché il presente era così bello e degno di essere vissuto che la testa la lasciavi dove stava.

Oggi però, anche se sembra a tutti gli effetti una giornata estiva, la testa va eccome. Il mio flusso di pensieri non mi molla neanche se sto a petto nudo e sorseggio una Ichnusa sempre meno ghiacciata. Mando un messaggio a Marta, do un sorso, guardo il sole e ripeto. E penso. Ah, e starnutisco. Perché il polline aleggia ancora nell’aria, a ricordarmi che è ancora primavera.

Marta risponde ai suoi tempi, e anche se di solito questa cosa mi infastidisce, oggi non mi dispiace affatto. È un modo come un altro per tenermi testa, il ché è un bene se non vuoi essere divorato dal mio egocentrismo.

Non ci conosciamo da molto, entrambi non cerchiamo chissà cosa, eppure ci cerchiamo. Ci piace comunicare all’altro quello che ci capita, anche le cose più stupide. Per esempio, oggi sono venuto qui per i cazzi miei, a godermi un po’ di solitudine. Avevo anche pensato di non portarmi il telefono per poter dare spazio solo a pensieri puri e spontanei. Invece non solo l’ho portato, ma ho scritto anche a Marta per dirle dove fossi. Spero forse che mi raggiunga? Probabilmente no. Forse è solo bello avere qualcuno a cui dire le cose che non dici a nessuno. A cui comunicare pensieri che altrimenti rimarrebbero tali.

Vedo la sua Punto gialla parcheggiare accanto alla mia (sì, abbiamo la stessa macchina) e la cosa, non so perché, non mi stupisce.

Scende lei, bellissima nei suoi shorts Levi’s vintage. Si avvicina piano piano e mi chiede “Posso?”. La aiuto a salire, le passo la birra e ci diamo un bacio. Ci guardiamo. È ancora più bella con lo sfondo della campagna intorno a noi. I capelli color miele matchano bene con l’azzurro del cielo e le balle di fieno. Ci baciamodi nuovo e parliamo di tutte quelle cose che per gli altri sono normali, ma che a noi sembrano così strane. Stiamo anche in silenzio, le gambe a penzoloni. Marta uccide la mia apatia, riesce a farmi godere la compagnia di me stesso stando accanto a me.

Il fatto che non sia esattamente la mia ragazza mi mette ancora più a mio agio. In fondo non sa molto di me. Non sa il nome di mia madre e neanche che al liceo sono stato bocciato due volte. Eppure sembra aver capito quelle poche cose che servono per entrare in sintonia con me.

Riapro gli occhi dopo l’ennesimo bacio e vedo solo una Punto gialla, la mia. Anche il viso di Marta sparisce, lasciandomi di nuovo l’aperta campagna come unica visuale.

Era solo un bel viaggio, un flusso che, come spesso accade, tende a strabordare.

Vuol dire forse che non mi serve Marta per godermi il tempo con me stesso? O che solo con la sua presenza (fisica e non) riesco a farlo? Questo non lo so, ma un giorno di questi la porto qui. E magari le chiedo di diventare la mia ragazza.

Racconto liberamente ispirato al brano POLLINE di ROMIS1