Feelingenuo: “La normalità non è mai stata più strana di così” | Intervista

L’abbraccio della persona amata, il dirsi buongiorno, incontrarsi per strada per guardarsi negli occhi. Azioni queste del tutto normali tra due persone che si sono volute bene. Cosa accade però quando la normalità tutta d’un tratto diventa aberrazione? Accade che dallo scorso 21 agosto in tutte le sale c’è Che strano, l’episodio conclusivo della saga scritta e diretta da feelingenuo, al secolo Filippo Nicolai, sempre per Revubs Dischi.

Feelingenuo è l’occhio dietro la macchina da presa, ma anche attore protagonista del singolo struggente e malinconico, come lo è Che strano. Eppure, l’effetto di straniamento, il cambio di prospettiva non si caricano di negatività, bensì di stupore. La vera meraviglia è nella bellezza di un legame che esiste tra due persone, che però non sono più.

Con noi feelingenuo si è aperto a riflessioni su di sé e la sua musica, che poi così malinconica non è.

Intervistando feelingenuo

Che strano è il terzo episodio autoconclusivo della serie targata feelingenuo, ad oggi però non abbiamo ancora un grande titolo sotto cui raggruppare questa prima stagione. Hai già un disco in vista o sei ancora alle prese con la stesura del prossimo copione?

Ogni percorso, per essere definito tale, ha bisogno di tappe, che nel mio caso sono state, per ora, tre. Al momento ho tanta voglia di godermi l’uscita di Che strano, dopo averne affrontato la lunga gestazione. Il titolo sotto cui raggruppare gli episodi esiste, ma, restando nella metafora del percorso, l’album somiglia molto ad un primo traguardo e io sto ancora correndo. Non posso anticipare molto, posso solo dire che i copioni sono stati stesi, il disco ci sarà.

“Strano” credo sia una tra le accezioni che meglio descrive questo anno tempestato da assurdità. Qual è stata la cosa più strana che ti sia successa negli ultimi mesi?

Sono successe davvero tante cose strane in questi mesi, in tutti gli ambiti della mia vita, sia lavorativa sia personale. Non so quale sia la più strana. Per citarne alcune in ordine sparso: dopo anni di tentativi sono riuscito a farmi crescere la barba; ho confuso gli spazi vitali e non sono più molto convinto di sapere dove abito; ho sperimentato la paralisi del sonno e non voglio farlo mai più.

In due canzoni su tre il tema ricorrente è la nostalgia e il non riuscir a sfuggire al passato. Seppure sia vero che è proprio dalla mancanza che nascono le narrazioni più belle, credi che iniziare a frequentare il futuro potrebbe sciogliere la patina da “malinconico patologico” che ti sei appiccicato addosso?

La malinconia è una costante delle mie canzoni, lo ammetto, ma non ci vedo niente di negativo. È un’emozione autentica e pura. La prerogativa che sta alla base della mia produzione musicale e, nello specifico, testuale, è quella di essere sincero, prima con me stesso e poi con chi ha voglia di ascoltarmi. Certo, forse è un po’ presuntuoso raccontare della propria vita e sperare che anche gli altri la trovino interessante, ma è l’unico modo che ho per esprimermi. Al momento trovo difficoltà nel concepire storie che non siano autentiche e vissute, e, per avere la certezza che siano tali, ho bisogno di affondare a piene mani nella mia vita. Il futuro potrebbe riservare altro, la verità è che quando penso a cose felici o quando le cose felici mi investono, tendo a viverle, dimenticandomi di scriverne. Ciò che è certo è che, quando sarà il momento, ci sarà spazio anche per parlare del futuro e per viverlo. Per me, questo, è il periodo in cui sento di dover vivere il presente. Ogni cosa ha il suo tempo e quello che è importante adesso è circoscrivere un certo tipo di impianto narrativo, una storia che aveva bisogno di essere raccontata. Con i primi tre singoli sono state affrontate tre fasi dell’amore: l’innamoramento, la fine di una relazione e l’analisi di ciò che rimane. Direi che, con il terzo episodio, questa storia si potrebbe definire conclusa e ci sarà spazio per altro, forse proprio per il futuro.

Le parole e la musica sono spesso l’antidoto ad un amore dolente o a dei sentimenti elegiaci. Scrivi per dimenticare oppure ogni canzone ti serve per tenerti stretto a un ricordo?

Truppi direbbe “ci sono persone, posti ed emozioni che voglio sempre con me, allora li metto dentro le canzoni, io sono un mago, questa è la mia magia”. La verità però sta nel mezzo: scrivo di tutto quello che mi accade, a volte per autoanalizzarmi, a volte per capirlo meglio, a volte per conservarlo. Nel caso specifico di Che strano cercavo risposte, indagavo su come, qualcosa che fino a poco tempo prima era normale, sia diventato prima inusuale e poi perfino strano. Da lì ho maturato la convinzione che esista un legame che permane, aldilà dell’amore, tra due persone che si sono volute bene e mi sembrava bello e importante parlarne.

Scorrendo il tuo profilo social si nota un’evoluzione da un feelingenuo più impacciato (all’uscita del tuo primo brano Colpa del sud America a gennaio) ad uno apparentemente più sicuro su uno sfondo caleidoscopico all’uscita di Che strano. Questa mutazione coincide anche alla ricerca di una tua voce e impronta totalmente personale in ambito musicale?

Probabilmente ero soltanto più a mio agio nel fare le foto, perché non era più la prima volta. No, vabbè, a parte le battute, sicuramente tornando al percorso di cui si parlava, le tappe sono importanti proprio per quello che accade tra l’una e l’altra. Non ti nascondo che mi sento maturato molto artisticamente, credo di aver acquisito un’esperienza maggiore, che di certo non è esaustiva, ma mi aiuta a correre con più determinazione e convinzione, nonostante, spesso, la fatica sembri avere la meglio.La ricerca della mia voce è una costante e non può prescindere da un’abnegazione e da un lavoro totali, costanti, e, nel mio caso, quasi totalizzanti. Non mi definirei un tipo competitivo, ma di certo mi ritengo determinato nel fare quello che faccio, per farlo al meglio. Sono il mio primo critico, e, tante volte, sono il più feroce. Mi aggrappo con le unghie e con i denti alle certezze che sto cercando faticosamente di costruirmi. In questo periodo storico di stasi e paralisi sociale, oltre che di futuri molto poco limpidi, avere certezze è complicato, quindi preferisco fare un passo alla volta, ponderare quotidianamente le mie scelte e, attraverso esse, modellare la mia voce.

Anche se le “domeniche invernali” in cui guardare Stranger Things non sono ancora arrivate, hai qualche serie che ultimamente ti ha appassionato e che ci consiglieresti di guardare tutta d’un fiato?

Ho già parlato, anche in altre interviste, della mia passione per Bojack Horseman e Dark, entrambe si sono concluse da qualche mese, le consiglio, ovviamente, entrambe. Recentemente ho visto The Hauntig of Hill House, che avevo sempre rimandato, mi è piaciuta fino a che non ho visto il finale, quello mi ha un po’ deluso. Viro quindi su un film aggiunto da poco al catalogo Netflix: Notti Magiche di Paolo Virzì, credo meriti di essere visto, io l’ho trovato molto carino.