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L’indie triste ci fa sentire più compresi (e meno in colpa) e ”Destri” ne è la prova

Ne era trascorso di tempo dall’ultima volta che Gazzelle aveva pubblicato un singolo così inaspettato. Infatti, cinque mesi dopo l’uscita di ”Ora che ti guardo bene” avvenuta in pieno lockdown, il 25 settembre è stato rilasciato ”Destri”.

Gazzelle – Destri (Testo) — Nuove Canzoni

Attenzione, però! Per tutti coloro che non sapessero di chi si stia parlando è importante associare un volto a questa voce e per farlo ci trasferiamo nel rione Prati della Roma di fine anni ’80 dove, nel 1989, è nato Flavio Bruno Pardini.

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Flavio è un cantautore italiano che scrive i suoi testi prendendo ispirazione da ciò che lo circonda osservando il mondo durante le corse in motorino, ad esempio, e il suo approccio alla musica si rifà prevalentemente al genere indie-pop. I suoi primi contatti con gli strumenti musicali sono avvenuti all’età di ventidue anni e risulterebbero tardivi agli occhi di chi oggi a quindici anni trascorre la maggior parte del tempo su TikTok con l’obiettivo di farsi notare e di diventare il fenomeno del momento.

Questa breve considerazione ci porta a riflettere sul fatto che lui abbia da poco sfiorato i 30 anni e che, con tre dischi alle spalle sotto le etichette discografiche di Maciste Dischi e di Artist First, potrebbe prepararci ben presto (oppure ce lo immaginiamo) all’arrivo del quarto; è proprio così che ha fatto capolino col suo ultimo singolo ”Destri”, pubblicato a fine settembre dopo una lunga pausa che ha trascinato con sé la quarantena così come l’estate.

Il brano è introdotto da una melodia prodotta da una chitarra acustica e il quadro della situazione ci appare subito chiaro: Gazzelle ha combinato un casino. La sua panda schiantata contro il muro di un appartamento non promette nulla di buono, ma se ci fosse data la possibilità di vedere le cose sotto un punto di vista differente? Se ci sedessimo affianco a lui, sul sedile del passeggero, e lo ascoltassimo senza badare al fumo che fuoriesce dal cofano motore potremmo capire qualcosa in più. Il bello della musica, infatti, è che i brani di ogni artista possono essere interpretati liberamente, spesso non ci è data conferma del nostro pensiero a riguardo ed è questa la sorpresa: dare propri significati ed una logica a qualcosa creato da altri. Se in ”Ora che ti guardo bene” avevamo avuto l’impressione di percepire un uomo tutto sommato felice, in questo singolo ci viene presentato un Gazzelle dall’aria disfatta e quasi rassegnata. In fondo è così che funziona spesso con i personaggi appartenenti a questo filone musicale: o è tutto bianco o è tutto nero e la maggior parte delle volte la nostalgia dettata dal nero non lascia spazio ad altro.

Per questo è noto che da sempre l’indie triste è la colonna sonora che accompagna la malinconia specialmente dopo la fine di una relazione ed è anche la stessa che non ci abbandona nei momenti più bui portandoci a sviscerarci con l’intento di arrivare al cuore del problema. Non a caso Gazzelle ci aiuta a farlo alternando a versi d’amore alcuni versi pacchiani come se, oltre al sentimento di cui parla in maniera semi-poetica, non dovesse dimenticarsi di esprimere quel suo lato crudo tornando subito ad essere un pò buzzurro. Per intenderci meglio, può essere d’aiuto la citazione seguente: ”Te l’ho già detto una volta, mi ricordavi il mare, le luci di Natale, gli schiaffi sul sedere e lo spazzolino uguale”.

Da notare, però, è anche la prevedibilità di certe strofe ormai diffuse nella scena pop italiana la cui natura viene resa ordinaria dalla somiglianza con altri brani appartenenti a questa categoria musicale. Ad esempio, l’artista dice ”Siamo due fiori cresciuti male”, frase che in passato abbiamo conosciuto con Coez (”Siamo fiori cresciuti sotto un temporale”) e, successivamente, con Carl Brave (”Siamo fiori cresciuti in mezzo ai sampietrini”). Forse è proprio questa una delle peculiarità dell’indie-pop, ossia ricalcare sui concetti che sono già stati espressi e riformularli con parole che appartengono alla stessa sfera visiva come i fiori, gli edifici o i paesaggi. Il tutto è raffigurato da un’infinità di iperboli che alterano la vera essenza delle cose deformandole attraverso un linguaggio confidenziale.
Insomma, questo singolo è la conferma che ad ogni sua uscita Gazzelle ci regala una parte di sé che può colmarci o, al contrario, farci sentire più soli, ma sicuramente capiti. E si sa che senza quel tocco di introversione mischiata ad un velo di pessimismo l’effetto che suscita non sarebbe lo stesso; d’altronde non potevamo aspettarci inizio diverso, poiché ce lo aveva anticipato lui stesso che ”Settembre è un mese di m*rda per ricominciare” e questo è il risultato.

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