Kit-Kat (Carriera da solista) | Indie Tales

Le storie più famose sono quelle che narrano di persone che hanno seguito il cuore. “Il cuore conosce ragioni che la ragione non conosce”, “ascolta il tuo cuore: esso conosce tutte le risposte”, e così via. Io invece ho deciso di fare il contrario. O meglio, ci ho provato a seguire il cuore, ma più si rompeva e più non sapevo quale pezzo seguire. Così ho scelto la testa, la razionalità.

Forse, pensavo, un giorno cervello e cuore si incontreranno, troveranno un luogo grande abbastanza in cui coesistere pacificamente.

Sto ancora aspettando quel giorno, e nel frattempo mi sento tremendamente solo.

Avevo un grande sogno e ci ho rinunciato perché il prezzo da pagare per realizzarlo era troppo alto. Meno ottenevo, più mi buttavo giù e l’obiettivo non era abbastanza forte per mandarmi avanti.

Come in molte delle storie che hanno lasciato il segno, anch’io ho incontrato una ragazza. Siamo stati uno l’antidepressivo dell’altra finché non ne abbiamo avuto abbastanza. Pensavo fosse la mia forza, ma in realtà era solo una boa a cui stringermi quando sentivo arrivare la tempesta. Ed io ero lo stesso per lei.

Spesso mi chiedo che tipo di persone avrei incontrato, a chi mi sarei affezionato se avessi dato più voce a ciò che mi batte nel petto.

Da fuori sembro forte e tutto d’un pezzo come tutti quelli che hanno scelto la ragione. In realtà ho messo da parte i picchi di infelicità tanto quanto quelli di euforia e creatività, tutti necessari per chi fa ciò che avrei voluto fare io.

Ah sì, non l’ho detto: il mio grande sogno era fare musica.

Anche questa è una storia già sentita, lo so. Come molti ho rinunciato al mio sogno perché la frustrazione di non arrivare mai era troppa. Ero stufo di dare cento e ricevere uno. Stufo marcio di lanciare monetine e di affidarmi al caso.

Mia madre mi sosteneva, mi ripeteva sempre di non mollare, che se ci avessi creduto fino in fondo sarei arrivato ovunque. Ma quando parlavamo la domenica mattina, davanti alla moka bollente, vedevo nei suoi occhi quel velo di preoccupazione. Era chiaro che, pur sostenendomi, non capiva fino in fondo ciò che stessi vivendo dentro di me.

La ragazza a cui mi tenevo stretto per non crollare mi dava conforto, ma la sua sola presenza mi buttava tremendamente giù.

Ricordo che in quel periodo facevo spesso dei “giochi” di superstizione. Di quelli che fai se sei tremendamente insicuro o se, più semplicemente, ti diverti a sfidare la sorte. “Se quell’auto svolta a destra, domani mi chiamano per quel provino”, “se non c’è nessun nuovo messaggio, domani verranno almeno trenta persone a sentirmi suonare”, oppure il classico testa/croce con una monetina.

Forse non credevo abbastanza in me stesso, ma non è una cosa che puoi imparare seguendo un corso. Mia madre aveva ragione, bisogna credere davvero in se stessi, anche se quell’auto svolta dalla parte che non avevi previsto tu.

Oggi faccio un lavoro normale, sono single e al posto della ragazza-boa mando giù una pasticca ogni tanto. Non ho rimpianti se non quello di aver perso troppo tempo a cercare di realizzare qualcosa in cui, forse, non credevo davvero.

Non è andata poi così male, dai. Mia madre è più tranquilla e l’unica boa a cui sento di aggrapparmi ogni tanto è un kit-kat dopo cena, sotto alle coperte.

Uh, guarda, una monetina.

Racconto liberamente ispirato al brano “Kit-Kat (Carriera da solista)” di DaveBrain