iosonouncane

IRA di Isonouncane è un disco allucinante | Recensione Album

Di Pantaleo Romano

Ho ascoltato per la prima volta Ira di Iosonouncane a bordo di un treno diretto Lecce-Torino. Non lo sapevo ancora, mentre premevo play, che quello sarebbe stato il luogo perfetto per ascoltare questo disco.

Reduce dall’ascolto recente di DIE devo ammettere che mi aspettavo qualcosa in linea col passato. Atmosfere elettroniche, drum machine e synth da un lato; chitarre acustiche, testi cantautorali e “hit” come stormi dall’altra.

Sebbene già dai tempi de La macarena su Roma, era chiaro che Isonouncane (pseudonimo artistico di Jacopo Incani) fosse un artista non convenzionale, questa nuova opera spezza completamente ogni tradizione e rifugge dalla comunicazione in senso stretto per affidarsi alla suggestione.

Riflettendo infatti su quale termine comunicasse al meglio le sensazioni stimolate da IRA non riuscivo a trovare aggettivo più adatto di “allucinante”.

Questo è un disco che ti trasporta in altri mondi, spesso cupi e senza tempo.

Un viaggio in treno è perfetto per favorire questo trascendere e lasciarsi trasportare dalla musica elettronica e dalle voci eteree mentre fuori dal finestrino campagne e città si confondono freneticamente.

L’album dura un’eternità (un ora e cinquanta minuti) – circa il doppio di Exuvia di Caparezza, per intenderci – e conta 17 brani ma va ascoltato tutto, e possibilmente senza pause. Non è un disco per tutti e questo lo si capisce già dal secondo brano, Ashes.

Se infatti il primo pezzo, Hiver, è quasi una ballad delicata che ti guida all’interno dell’opera, in Ashes iniziano le turbolenze a colpi di synth grassi e ritmiche serrate e incalzanti.

Parte qui nettamente – minuto 1:54 – l’effetto allucinatorio del disco. La sensazione è quella di esplorare un mondo torbido, decisamente oscuro e che mette sinceramente un pò d’ansia grazie al testo che parte in tedesco con una vocina in falsetto e l’uso probabilmente di un ARP Solina molto mistico.

Da qui in poi si procede con brani che mantengo viva l’atmosfera cupa ed ermetica dell’album, declinando questi sentimenti attraverso diverse soluzioni tecniche molto interessanti che appassionano di più un produttore musicale che un ascoltatore semplice.

La spazialità di Jabal ad esempio, che sfrutta un sapiente side chain per dare quel movimento incessante, tutto il lavoro di mix e mastering in Prière che da corpo nello spazio ai singoli suoni con i synth che quasi ti sussurrano all’orecchio. Per non parlare dello splendido lavoro sulla voce in Niran, anche questa eterea e distante, resa perfetta dai riverberi e dal posizionamento.

Questo è un disco tecnicamente assurdo, c’è dietro un lavoro incredibile, “estremamente sfiancante” secondo l’autore stesso. Spesso queste cose passano in secondo piano ma con IRA non si può non notarle. La pressione sonora è bilanciata favorendo i chiari scuri dei brani e non si trova neanche un pezzo spacca timpani come vanno di moda ora.

Menzione d’onore per Horizon, ottavo brano del disco, probabilmente il mio preferito. Le voci in questo brano sono veramente delicate e curate. Si poggiano su un synth che fa da tappeto a mille suoni, effetti, cori, chitarre e chi più ne ha più ne metta. Nessuna batteria, solo un synth basso che procede incessante con pochi tocchi posizionati a tempo e che vanno poi a chiudere il brano.

In questi giorni si è molto parlato di IRA perché è un disco per certi versi rivoluzionario. Probabilmente sono pochi gli artisti famosi che osano così tanto quando pubblicano un nuovo lavoro. IRA di Iosonouncane è quanto di meno commerciale e mainstream possa uscire attualmente nel panorama musicale. Non è un disco per tutti, come già detto.

A partire dai testi, resi volutamente incomprensibili dall’uso di un linguaggio meticcio composto da ben 5 lingue diverse: inglese, francese, tedesco, arabo, spagnolo.

La voce è uno strumento al pari degli altri e come ha dichiarato lo stesso artista in una recente intervista: «a conti fatti non conosco nessuna delle lingue che ho utilizzato», aggiungendo che lo scopo era quello di «creare un linguaggio meticcio, scorretto, volutamente pieno di errori, che mi restituisca e restituisca questa dissociazione profonda, questa distanza tra la spinta a dire e la capacità di farlo, la possibilità di farlo».

L’idea alla base di questo disco è proprio la lotta contro un modello di opera d’arte che “funzioni”, che abbia uno scopo ben definito come l’abat-jour o la forchetta – per usare degli esempi citati dall’artista. Per Isonouncane l’opera d’arte non assolve ad uno scopo di questo tipo. Si compone di pezzi, di strati di significato così come la comunicazione stessa.

Nelle sue parole ritroviamo forse l’ambizione più grande di quest’album: comunicare l’incomunicabilità.

Credo che comunicare l’incapacità di comunicare determini dei livelli narrativi, interpretativi. IRA” è estremamente comunicativo proprio perché parte dal presupposto di rinunciare a una certa idea di comunicazione”.

Prendetevi il vostro tempo e ascoltate IRA. Non skippate canzoni, non sentitele fuori ordine, almeno per il primo ascolto. Godetevelo. E se potete, ascoltatelo su un treno guardando fuori dal finestrino.