Margherita Grechi: “Salviamo la musica dal vivo” | Indie Talks

Aperture e chiusure dei locali, capienza ridotta oppure piena ma con posti distanziati. Insomma, queste sono le diciture che sono da poco entrate nel nostro fare e dire comune, specialmente per quel che riguarda il mondo dello spettacolo e della musica dal vivo.

Di questo abbiamo deciso di parlarne meglio nel nuovo Indie Talks con Margherita Grechi, dj resident al Rocket di Milano e spalla destra di Elodie. Abbiamo colto l’occasione in concomitanza con il suo album di debutto “Sad Movida” fuori dal 27 gennaio. Abbiamo indagato e sciorinato tutti gli argomenti connessi a questo problema che sta colpendo l’Italia e chi di musica ci vive: ecco cosa ci siamo dette!

MARGHERITA GRECHI X INDIE TALKS

“Sad Movida” è il tuo album di debutto, quello dedicato ad una movida che non c’è più…oppure ha cambiato semplicemente forma?

Sicuramente ha cambiato forma, ma la forma che ha adesso non mi convince molto. O forse sta ancora finendo di modellarsi e quindi è troppo presto per parlarne, vediamo che succede. Però io me lo ricordo come era prima. Quando ogni sera poteva succedere di tutto. Incontrare l’amore, beccarti il concerto della vita, incontrare il tuo idolo per caso in un localino sconosciuto sui Navigli, oppure partecipare a quell’evento che proprio ti cambia, ti accende o magari semplicemente scoprire un artista incredibile che non conoscevi prima e consumare tutta la sua discografia e bibliografia.

C’era energia nell’aria, stimoli, partecipazione attiva, curiosità. Invece adesso, con i recenti risvolti della pandemia, l’esperienza della notte è cambiata, è tutto molto meno spontaneo, molto passivo e poco stimolante. Io sono fiduciosa che tutto si risolva al meglio e che torni tutto a funzionare, magari anche meglio di prima, come succede dopo i periodi bui. Poi mentre le cose cambiano è anche difficile avere una visione d’insieme, ne riparleremo tra qualche anno e magari ci diremo che questo momento difficile in qualche modo ci ha fatto bene, lo spero.

Uno dei discorsi più ricorrenti, specialmente per chi lavora nello spettacolo è proprio quello della chiusura dei locali: in che modo “Sad Movida” si collega a questo argomento?

“Sad Movida” ho iniziato a scriverlo durante il primo lockdown. Parla di mie esperienze personali passate, ma ha preso forma insieme alle vicende legate al Covid, alle restrizioni sociali, alla chiusura dei locali e quindi sicuramente contiene, anche involontariamente, delle riflessioni figlie proprio di quel periodo preciso. 

Il disco è un viaggio immaginario verso casa dopo la serata in Discoteca. Quel momento quando torni a casa dopo la serata e la città sembra tutta tua, la luna ti accompagna e tu le racconti di te a cuore aperto per cercare qualche risposta a duemila domande. Mi sembrava un buon escamotage per riuscire, in modo diretto e sincero, a sviscerare qualche domanda esistenziale e qualche problema generazionale. Ho cercato di farlo raccontando con i miei occhi e le mie emozioni, ciò che vedo e provo in una serata immaginaria.

Non racconto della notte che tutti si aspettano, parlo della notte più riflessiva e introspettiva, tutto quel mondo emotivo e sentimentale che si nasconde dietro a una serata in un Club. Volevo descrivere la movida appunto, in un modo non convenzionale, e metterne in luce gli aspetti più profondi e nascosti, tralasciando gli aspetti più superficiali che invece vedono tutti.

L’obiettivo è quello di far capire alle persone che una serata non è solo alcol e stupidaggini, è molto di più, è una valvola di sfogo, un momento di collettività, di scambio e di relazione, tutte cose importantissime che ultimamente vengono sempre più a mancare e se ne vedono i risultati spiacevoli. Senza stimoli e valvole di sfogo è davvero facile impazzire in questi giorni difficili e strani. I locali sono il cuore pulsante della vita notturna e culturale di una città. E’ molto triste vedere persone e luoghi che hanno nutrito e colorato per anni le proprie città, ignorati come fantasmi e considerati superflui.

Hai qualche elemento nostalgico di alcune situazioni legate alle serate nei locali?

In generale ho un po’ di nostalgia della magia che si creava e della facilità e spontaneità con cui si conoscevano persone nuove e si socializzava.

Uscivi per caso con qualche amico, niente di programmato e magari ti ritrovavi al Tunnel mano per mano a persone appena conosciute a sentire il concerto di Dua Lipa a inizio carriera, oppure all’Ohibò a sentire i Sofi Tukker o i La Femme perché ne avevi sentito parlare dal tuo amico esperto di musica, oppure Mø, i Tame Impala, St Vincent e tanti altri che ai tempi ancora non erano troppo conosciuti e che adesso riempiono venue da migliaia e migliaia di persone con budget da milioni di euro.

Io li ho davvero visti quasi per caso in dei piccoli locali da poche centinaia di persone, e magari se eri spigliato ti poteva capitare anche di scambiarci due parole (cosa impensabile adesso). Ecco questa magia un po’ mi manca. Questa cosa qui era lo stimolo per uscire di casa. Uscire anche senza un programma preciso e tornare a casa inevitabilmente arricchito, stimolato, acceso per poi svegliarti il giorno dopo con un sorriso enorme e mille idee da provare a realizzare. Tra l’altro è stato proprio grazie a questa magia che ho deciso di fare della musica il mio lavoro.

                                                                                                    foto di Carlo Gerli

A tal proposito, sei anche dj resident al Rocket di Milano, come vedi che siano cambiate le serate nei locali? C’è un’affluenza minore? 

In realtà no. Quando ci permettono di stare aperti l’affluenza è sempre tanta, si vede che la gente ha voglia di uscire e divertirsi. Il problema è che non riesci programmare niente in anticipo. Quell’anticipo di mesi di lavoro che fa si che l’offerta dei tuoi eventi sia davvero di qualità. Senza un programma a lungo termine, sei costretto a lavorare alla giornata e a fare solo lo stretto indispensabile per starci dentro. Per organizzare cose davvero belle, sensate e ben fatte ci vuole un sacco di tempo per pensarle, progettarle e realizzarle.

Ogni evento ben fatto ha mesi di lavoro dietro, non bastano un paio di giorni prima. Queste condizioni di lavoro precarie nella musica, rendono l’offerta degli eventi limitata e il lavoro molto più faticoso.

Credi che anche il modo di divertirsi sia cambiato?

Io credo di si. Cerco di spiegarmi meglio. Prima della pandemia uscivi per scoprire.

Uscivi non sapendo a che ora saresti tornato, dove ti saresti ritrovato e con chi. Uscire sapendo che probabilmente il giorno seguente avresti avuto un’incredibile storia da raccontare.

Adesso è tutto molto prevedibile, io stessa faccio fatica a trovare dei buoni motivi per uscire la sera quando non lavoro. E quando si esce lo si fa senza grandi slanci emotivi solo per andare a bere un drink (che poi diventa sempre più di uno) con i soliti 3 amici, tornare a casa stanchi per svegliarsi ancora più stanchi e demotivati, aprire il computer e annullarsi qualche ora con Netflix. 

Io vedo fare i salti mortali pur di mantenere attiva la filiera degli eventi, però lavorare così è davvero impossibile, non sapendo neanche se il giorno dopo dovrai chiudere di nuovo i battenti e chissà per quanto. In questo modo restano serate tutte uguali, studiate a tavolino, poco stimolanti, che troppo spesso ti lasciano solo un gran mal di testa. 

                                                                                                      foto di Carlo Gerli

Quale potrebbe essere secondo te un modo o un’eventuale soluzione per poter salvare tutti quei locali che piano piano si stanno spegnendo in queste settimane?

Questa è una bella domanda e tutte le persone che lavorano in questo settore se la stanno ponendo già da diversi mesi. Sicuramente deve cambiare l’esperienza che si offre al pubblico, ai clienti. Non basta più offrire una serata vecchio stile, diciamo standard. C’è bisogno di qualcosa in più, un’esperienza più profonda.

Il problema è che, come dicevo prima, nelle condizioni di lavoro in cui ci troviamo adesso, se non sai neanche se domani sarai aperto o chiuso, come fai a progettare qualcosa per il futuro? Essendo tutto un po’ precario e traballante, adesso nessuno ci investe più di tanto e quindi rimane tutto così fermo, in attesa. Lavori a risparmio, il minimo indispensabile per una massima resa che ti permetta di rientrare delle perdite subite.