Riccardo Buck

Riccardo Buck: “Dipingo piante e canzoni” | Intervista

Riccardo Buck è un pittore e musicista trevigiano. Ama dipingere piante, ma non solo. Dipinge canzoni e la sua musica è un tutt’uno con il personaggio: i suoni sono misurati come le sue parole, non c’è niente in più di quello che serve per far funzionare le sue canzoni. Il suo obbiettivo è fare il massimo con il minimo. Durante il Lockdown a Venezia ha assemblato su un multitraccia a cassetta Tascam il suo primo Ep “Inward Crawl” (Pipapop Records). Un album scarno, materiale grezzo per la sua vena poetica, una manciata di tracce dalla maturità artistica veramente notevole.

Le sue canzoni parlano di umanità, emozioni e comunicazione. Gli arrangiamenti sono scarni, spesso solo chitarra e voce, mentre i testi sono profondi e riflessivi. Lo stile di Riccardo Buck potrebbe essere descritto come indie, singer – songwriter o lo-fi folk.

Intervistando Riccardo Buck

“Inward Crawl” è un viaggio nell’Io: per produrlo hai corso tra le tue sensazioni o ti sei lasciato trasportare dalla corrente?

Inward Crawl é un lavoro introspettivo e piuttosto distaccato, quasi in terza persona. Quindi un trasporto direi che più di tanto non ci sia stato, piuttosto la ricerca di una sensazione, di un assetto. A me piaceva l’idea di raccontare una serie di piccoli segreti, con il tono dei segreti.

Quali sono i punti in comune tra pittura e musica, due arti che giocano un ruolo principale per Riccardo Buck?

La corrispondenza tra le arti é un ambito che mi affascina moltissimo. La mia tesi all’accademia di Brera era proprio sulla corrispondenza tra musica e pittura nel XX secolo e i tentativi di tradurre un ambito nell altro. Forse il cinema si é avvicinato più di tutti a un unione tra pittura e musica con la scenografia e il montaggio. Di fatto nel mio lavoro non cerco alcuna corrispondenza, é più un interesse teorico. Però quando dipingo ascolto musica ambient. Avere suoni continui come sottofondo mi aiuta enormemente a rimanere concentrato.

In un mercato musicale sempre più digitale, pensi che il ritorno alla registrazione prettamente analogica delle proprie emozioni, sia più semplice ed immediato?

Da un lato direi di no, le emozioni si possono esprimere in qualsiasi modo a seconda del soggetto. Da un altro, per come stiamo vivendo in questo angolo di mondo, forse si potrebbe pensare che l’aspetto artigianale e la trasparenza del processo diano un calore che a molte persone manca, anche se magari nemmeno lo sanno.

Inward Crawl

Sono molti i dischi scritti durante il lockdown: raccontaci com’era la tua vita artistica prima del Covid e come essa abbia preso nuove strade dopo la pandemia.

La pandemia mi ha visto traslocare in un luogo incantato nella campagna della bassa Franconia. Ci ho vissuto per un anno, ho potuto isolarmi e sviluppare alcune idee, capire cosa importa per me. Allo stesso tempo mi sono impensierito non poco, e penso che anche questo emerga da molte canzoni! Prima del Covid ho vissuto a Berlino per molti anni e per molti anni ho fuggito la solitudine. Il covid ha portato a termine una ricerca d’isolamento che era già in potenza dentro di me.

Il primo disco è sempre un’emozione indescrivibile: quando hai capito che era realmente pronto, finito, maturo?

Le canzoni sono state registrate tutte nell’arco di una decina di giorni appena giunto a Venezia. Ho capito che era qualcosa quando lo ho fatto ascoltare a una mia amica e mi ha detto che ha pianto.

La Serenissima Venezia ha influenzato in qualche modo la scrittura di “Inward Crawl”?

Senza Venezia e le passeggiate notturne nella nebbia non avrei probabilmente registrato nulla. Il solo pensiero di uscire la sera con una canzone nuova da ascoltare in cuffia nelle calli deserte mi riempiva di energia e gioia.

Tre artisti/canzoni che consiglieresti ai nostri lettori per entrare ancora di più all’interno del tuo mondo

Pino Nuvola- É lei
David Bowie – Five Years
Elis Regina – Só tinha que ser com você

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