“Exit Strategy”, l’invocazione di Piergiorgio Tedesco | Intervista
Cos’hanno in comune stand-up comedy e musica? I due mondi collimano nella copertina realizzata da Luigi Bicco per il nuovo disco di Piergiorgio Tedesco dal titolo “Exit Strategy”.
Per capire quello che succede oggi bisogna essere curiosi, pronti a tutto, ma non aver paura di scherzare anche sulla realtà, usando l’ironia e l’intelligenza per vivere felici, lasciando da parte tutte le possibili contradizioni che ci sono al di là dei nostri occhi.
In questo disco Piergiorgio Tedesco si racconta senza filtri, coccolando i ricordi del passato mentre riconosce nel futuro una certa pericolosità. soprattutto se si fa finta di non vedere alcuni alert come i cambiamenti climatici o l’ipercompetizione presente nella società in cui viviamo.
La musica diventa così una tecnica per raccontare cosa succede e così “Exit Strategy” vuole suggerire la ricerca della giusta strada per dribblare i pericoli visibili e non, che potrebbero ostacolare la nostra vita. Certo non dobbiamo sottovalutare quello che succede, ma a volte diamo troppo peso a cose inutili, lasciando da parte valori davvero importanti.
INTERVISTANDO PIERGIORGIO TEDESCO
L’umarell che vive dentro di te cosa pensa di questo nuovo disco?
L’umarell, a cui notoriamente piace guardare gli altri lavorare e criticare, si domanderebbe chi me l’ha fatto fare di realizzare un nuovo album e borbotterebbe qualcosa. Però l’umarell lo tengo a bada, almeno per ora, e sono felice di presentare questo nuovo progetto perché è una sferzata di energia ed è sempre emozionante.
Se avessi 30 anni in meno il tuo modo di fare musica sarebbe diverso?
Sicuramente sì, perché ciascuno di noi è innanzitutto figlio del proprio tempo. Se avessi 30 anni in meno sarei nativo digitale, avrei fatto altri ascolti musicali ed altre letture, almeno in parte. Probabilmente avrei in testa altri suoni e mi piacerebbe la Trap. Ma va bene così, sono felice di essere cresciuto con nelle orecchie i cantautori e con il rock e spero che quello che scrivo risulti sufficientemente “fresco”.
Dopo “Wrestling” hai capito che in certi casi è meglio accettare una resa onorevole o meglio evitare certe situazioni pericolose?
Quello non lo capirò mai, questione di carattere! Però diciamo che un po’ ho imparato a difendermi, non mi arrendo ma cerco di aggirare le situazioni, di mediarle. Poi, per stare al significato della canzone, qualche volta sui social sbrocco anche io e vado ad impelagarmi in polemiche fondamentalmente inutili.
Come spiegheresti la tua “Exit Strategy”?
“Exit Strategy” è più un’invocazione che un piano, non ho una ricetta per tutti, magari…
Per quanto mi riguarda, l'”Exit Strategy” è un maggiore distacco dal mondo e soprattutto dai troppi cretini che lo abitano e che, talvolta, lo governano pure. Poi tutto quello che ci porta serenità e gioia, vivere una vita un po’ più autentica e lontana dal caos del mondo: questo è un po’ il significato ultimo di “Come Vento”, un pezzo contenuto nel nuovo album a cui tengo molto perché inaspettato anche per me, pur nella sua forma volutamente tradizionale.
Che effetto fa avere il monte Fuji nella stanza e vedere la Mole dalla finestra?
Significa che il sogno e la voglia di cambiamento sono più forti della realtà. Però, detta così, sembra un pò un effetto psichedelico.. devo parlarne con un amico che mi ha ispirato la canzone e che vive questa attrazione per il Giappone!
Legarsi ai ricordi è un modo per proteggere la nostalgia?
I ricordi fanno parte della costruzione della nostra identità, sono fondamentali. Però non sono un tipo nostalgico, non mi crogiolo nei ricordi, vivo il presente. Detto questo, nell’album c’è più di un pezzo legato ai miei ricordi.
“1978”, il Mondiale in Argentina. Il calcio quanto influenza la cultura di un paese?
Come fenomeno popolare, il calcio è importante, non può essere sottovalutato. Anche il gioco è espressione della mentalità di un popolo, si pensi al Brasile o anche al catenaccio italiano. Però non sono un tifoso, il circo mediatico morboso intorno al calcio mi infastidisce, è anche quello “oppio dei popoli”.
Il futuro ti fa paura?
Qualche anno fa ho letto un libro con un titolo evocativo: “Il futuro non è più quello di una volta” (2006, Mark Strand). Quel futuro che temevamo 15 o 20 anni fa ora è qui, si è materializzato. Quindi ti direi che mi fanno più paura il presente e l’immediato futuro in un mondo pieno di contraddizioni, di ingiustizie sociali, con un clima impazzito, pericolosamente armato e guerrafondaio. Sono molto più ottimista per il futuro a medio termine: riusciremo a domare la tecnologia, torneremo ad un concetto di umanesimo e di giustizia sociale, ci stuferemo nuovamente della guerra e delle armi, probabilmente gestiremo la sfida ambientale, Nel frattempo però avremo perso, se va bene, 10 o 15 anni di vita e questo è decisamente seccante, anche perché all’uscita dal tunnel comincerò ad essere abbastanza anzianotto.
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