HUMANDROID: non solo ferraglia animata

Johannesburg, anno 2016. Tra le bidonville della megalopoli sudafricana regna il caos. Guerriglie urbane, rapimenti, furti. Il cielo color emissioni industriali copre la città, quasi a volerla isolare per farla marcire. Torri di cemento abbandonate, murales colorati che creano dissonanze cromatiche con lo sfondo perennemente cupo e grigio dei palazzoni delle periferie.

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Deon Wilson, un giovane informatico interpretato da Dev Patel, però è riuscito a creare dei robot capacitivi. Il suo progetto viene accolto e finanziato dalla polizia di Johannesburg con lo scopo di adattare le funzioni di questi robot alle necessità di sicurezza della città.

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I poliziotti cibernetici, prodotti in serie, iniziano a seminare il panico tra le gang metropolitane. Tuttavia, non è ancora soddisfatto del servizio offerto alla società. Riesce a programmare un chip capace di rendere dei semplici robot in veri e propri umanoidi che interagiscono autonomamente con il mondo circostante.

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Per realizzare il suo progetto si servirà di un robot destinato alla demolizione: Chappie. Una banda di criminali capitanata da Yolandi e Ninja (membri dei Die Antwoord, duo rap-rave nato a Cape Town nel 2008) prende di mira il giovane e talentuoso nerd.

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Inizia qui la metafora di Chappie, umanoide che deve ancora essere addestrato alla vita vera. Come tutti i bambini diventa molto suscettibile alle influenze del mondo circostante. Tra lezioni di furto con scasso impartite dai malviventi che lo detengono ingiustamente e toccanti saggi di pittura da parte del suo reale creatore Deon; Chappie è costretto a scegliere. La sua vita, la sua storia, cambieranno il modo di vedere rispetto ad umani e robot per sempre.

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Il film diretto da Neill Blomkamp (District 9 e Elysium), risulta piacevole. Ha ben poco in comune con i soliti film di “ferraglie animate” perché in realtà non parla di un robot nell’accezione propria del termine; bensì di un essere che si approccia alla vita e che pertanto è costretto volente o nolente a confrontarsi con essa.

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Interessante lo scenario submetropolitano offerto fatto di murales, arredamenti da baraccopoli originali e ben pensati, così come la partecipazione dei Die Antwoord; soggetti che anche in vestaglia e pantofole risulterebbero stravaganti. Consiglio la visione di questo film agli appassionati del genere, ma anche a chi spesso guarda con disgusto i trailer delle già citate “ferraglie in azione”. Chappie, pur essendo fatto di titanio offre numerosi spunti di riflessione sull’educazione e sulla crescita.

A cura di Salvatore Giannavola

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