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Giradischi | Indie Tales

Tutto quello che avevamo era un momento nostro, un luogo sicuro. Ciò che tutti cercano, un posto da chiamare casa, diverso da quello in cui siamo cresciuti, noi ce l’avevamo.

Io e lei distesi su un letto. That’s it.

I problemi e le sofferenze chiusi fuori. In quella stanza c’era posto solo per noi e i nostri silenzi, le battute, la musica, l’amore.

Ci sono coppie che sanno stare solo in mezzo alla gente, agli amici. Noi fuori da quella porta non sapevamo stare. Darsi appuntamento da qualche parte diventava un enigma irrisolvibile. Le cene un banchetto funebre. Le passeggiate tutte in salita. Il cinema paralizzante.

Dopo uno qualsiasi di questi tentativi di integrazione della coppia nella società, necessitavamo quantomeno di 3/4 sedute nel nostro luogo sicuro per ricordarci del bene che volevamo all’altro.

Per quanto intensa, era una cosa a metà. E le cose a metà, si sa, non durano molto.

La loro data di scadenza è dimezzata, come le mezze banane e gli yogurt aperti che trovi in frigo.

Eravamo così buoni però, di un sapore agrodolce perfettamente bilanciato, dalla consistenza perfetta e saziante al punto giusto, un pizzico piccante.

Fisicamente, il luogo sicuro era casa mia. Il mio letto, il mio giradischi, il nostro tempo. Impazziva per quel giradischi e probabilmente gliel’avrei regalato se fossimo rimasti legati ancora un po’, almeno fino al suo compleanno.

Con lei ho abbattuto il muro della rabbia verso me stesso e (quindi) verso il mondo, il muro dell’orgoglio, il muro della diffidenza. Conosce la parte di me di cui vado meno fiero, quella che mi faceva essere costantemente incazzato e che, con lei, in parte si è dissolta.

Dopo esserci lasciati, agognavo la sua presenza. Cercavo di ricreare quel luogo sicuro senza di lei sdraiandomi sul letto al buio, il giradischi che andava, ma tutto ciò che ottenevo era quella rabbia primordiale che mi infuocava il viso.

Ho urlato ogni giorno per almeno tre mesi. Verso sera uscivo in balcone, allargavo le braccia e gridavo forte alla città parole a caso, come un matto. Poi accendevo una sigaretta che non finivo mai e rientravo in casa.

Nonostante entrambi sappiamo di essere stati terapeutici e distruttivi allo stesso tempo l’uno per l’altra, e che forse la cosa migliore del nostro rapporto tossico ed estatico è stata lasciarci, io due ore con lei le passerei ancora.
Quantomeno per ricordarmi che quel periodo non me lo sono sognato, che c’è stato davvero.

Andare alle cene, passeggiare, fare cose insieme, esistere nelle reciproche vite rende le cose reali e tangibili.

Il nostro legame era autentico, ma inafferrabile. Come il gas.
120 minuti di sesso e silenzio, poi ognuno per i fatti suoi. Sarebbe davvero così terribile?

Poi, però, c’è il giorno in cui tutto va bene: ti svegli col piede giusto, in cielo non c’è una nuvola e sei pure un figo della madonna. In quei giorni lei è nient’altro che un passato a cui fa bene pensare. Non è più un mostro, ma l’esperienza che ti ha reso uomo, perfetta da condividere con la tipa che devi vedere alle 19 per una birra.

What doesn’t kill you makes you prima frastornato, poi consapevole e infine grato di ciò che è stato. Perché dopotutto devo molto a lei e a quel giradischi, che per un po’ sono stati il mio mondo. O meglio, lo scudo contro un mondo che ora non è più così ostile.

Ora sono sotto casa sua e non so cosa sperare. Non so neanche se è in città. Lo faccio spesso, di passare sotto casa sua appositamente, intendo.

Una volta si è aperto il portone proprio mentre ero fermo davanti al suo palazzo. Mi si è fermato il cuore. Non era lei ovviamente, ma mi chiedo spesso cosa avrei fatto se me la fossi ritrovata a pochi passi. Mi chiedo spesso in generale come sarebbe un nostro incontro. Come ci saluteremmo? Qual è la prima cosa che le direi? Forse la bacerei. Ma solo se fosse uno di quei giorni in cui mi sveglio col piede giusto, in cielo non c’è una nuvola e sono un figo della madonna.

Racconto liberamente ispirato al brano GIRADISCHI di Nostromo che puoi ascoltare nella nostra playlist