Khal-ì: “La fragilità non ci rende inferiori” | Intervista

Chi ha detto che una situazione negativa non possa diventare un momento di gioia e condivisione?

Sicuramente non i Khal-ì, duo elettropop fiorentino nato nel 2017 composto da Giulia Calì e Danilo D’addetta. Dopo un inizio tutto acustico e in seguito alla vittoria alle finali dell’Emergenza Festival Firenze, i due accettano la sfida di esplorare il mondo elettronico.

Un vero e proprio salto nel “vuoto”, concetto a loro molto caro. L’ultimo album dal nome Ologramma, fuori dal 30 Aprile, è un vero e proprio inno al coraggio che non denigra, tuttavia, la fragilità insita in ognuno di noi. Un invito a celebrare i drammi del passato perché ci hanno resi più forti e ci accomunano agli altri esseri umani. Un album che esorta a fare pace con il proprio passato, che ci aiuta a vedere i ricordi come ologrammi: qualcosa che non puoi percepire con i sensi, ma che provoca forti emozioni. Una danza catartica a cui abbandonarsi per liberarsi dalle prigioni della mente.

Intervistando Khal-ì

Ciao! Quale altro significato si cela dietro a Khal-ì oltre al tuo cognome, Giulia?

Ciao! Il nome Khal-ì è in realtà nato un po’ per caso. Io, Giulia, avevo già un progetto avviato che prendeva il mio nome. Successivamente si è unito Danilo con grande entusiasmo. Nella ricerca di una sonorità particolare che richiamasse il progetto iniziale e qualche suggerimento, è nato Khal-ì. Facendo qualche ricerca abbiamo scoperto che Khal-ì in persiano vuol dire “vuoto”. Penso sia stato in quel momento che ci siamo davvero resi conto di chi fossimo e di ciò che stavamo creando. Probabilmente quando pensiamo al vuoto riecheggia nella nostra testa un qualcosa di negativo. Noi abbiamo voluto invece valorizzarne la sfumatura fragile. Il silenzio, il sentirsi fragili, deboli, possono darci un senso di vuoto. Ma questo in realtà ci rende solamente umani e nient’altro.

Com’è nata l’idea di lavorare insieme? Che tipo di legame c’è tra voi?

Io e Danilo siamo grandi amici. Danilo suonava in un gruppo rock progressive. Stavano cercando qualcuno che curasse i testi e cantasse. È stata in quella occasione che ci siamo conosciuti, ma il progetto Khal-ì è nato un paio di anni dopo. Danilo venne ad un mio concerto da solista e si propose di curare tutta la parte percussioni. Da lì siamo sempre rimasti noi due.

In principio erano i live e l’acustico. Poi è arrivato il pop elettronico. Come mai questa scelta?

All’inizio eravamo fortemente convinti del progetto acustico. Pensavamo ci rappresentasse in ogni sua parte. Poi la nostra etichetta Krishna Music (conosciuta in occasione della finale di Emergenza Festival all’Alcatraz) ci ha proposto un cambio radicale: il pop elettronico. Davanti ad una “sfida” non siamo soliti tirarci indietro, così abbiamo fatto il grande salto nel vuoto (per rimanere in tema). Abbiamo scoperto un lato di noi e della nostra musica che non conoscevamo, ma che in fondo sentivamo esistere da sempre. All’inizio avevamo paura di snaturarci, ma in realtà è proprio adesso che abbiamo trovato la nostra vera dimensione.

Tutte le canzoni di Ologramma partono con suoni che richiamano l’introspettività, per poi diventare vere e proprie danze. È un po’ una metafora delle lotte interiori che ogni essere umano vive?

Esattamente! Ci teniamo molto a curare questa simbiosi suoni-testo. È come una lenta esplosione. I testi sono sempre molto introspettivi, e Danilo ha la grande capacità di valorizzarli. È innegabile la lotta interna che quotidianamente viviamo dinanzi alle situazioni più disparate. L’avere paura fa parte di noi, così come il non averla.

Cosa volete dire esattamente con “sono un ologramma”?

Ologramma è fondamentale per noi. È forse il brano in cui emerge meno quella fragilità che caratterizza un po’ tutto il progetto. L’ologramma è un qualcosa che si vede, si percepisce, ma non si è in grado di toccare realmente. Un po’ come alcune situazioni o circostanze che ci hanno ferito: le vediamo, ma non riusciamo più a toccarle. Ologramma celebra l’avercela fatta a sfuggire a realtà tossiche che ci incatenano. “Sono intangibile come un ologramma, guarda sono qui adesso celebro il mio dramma”. Abbiamo voluto prendere una situazione negativa e trasformarla in un momento di gioia e condivisione. Non a caso gli stessi suoni del brano si distanziano un po’ da tutto il resto dell’album.

Possiamo dire che i vostri siano testi filosofici. C’è un fine educativo dietro al vostro lavoro?

Non so se considerarli filosofici o meno, ma in ogni caso per noi i testi sono fondamentali! Ci siamo resi conto del peso delle parole e della grande responsabilità che hanno i musicisti quando propongono musica propria. Se c’è un messaggio è quello di avere coraggio, forse troppo spesso sottovalutato. Tutti i brani parlano di “situazioni scomode” e Ghiaccio e fuoco ne è un esempio lampante. Diciamo che “i segni sulla pelle non restano per sempre”. Ed è vero, ma bisogna avere coraggio, sempre. Perché essere fragili non ci rende persone inferiori o incapaci di reagire.

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