Iside, sotto il velo c’è “la nostra boy band preferita” | Intervista

Iside, il nome della divinità egizia nasconde dietro il suo velo il volto e i nomi di quattro ragazzi bergamaschi: Dario Pasqualini, Daniele Capoferri, Giorgio Pesenti e Dario Riboli. Con il loro ultimo ep Indico si sono fatti conoscere nel panorama indie italiano, non solo per l’accostamento dell’elettronica alla trap, ma anche per l’originalità figurativa che fa da scenario ai loro brani.

La boy band di Bergamo non si è fermata nemmeno un attimo e il 22 maggio per Factory Flaws/peermusic ITALY pubblicano il loro ultimo singolo Draghi. Se in Nessuno la dominante era la trap, in Draghi possiamo meglio approfondire la passione degli Iside anche per il versante elettronicoDraghi rappresenta la fierezza di alzare il velo per scoprire l’inganno dietro le apparenze, un modo sincero degli Iside di esporre i loro desideri più nascosti. Insomma, non potevamo non lasciarci incuriosire da questo quartetto delle meraviglie e non ci siamo trattenuti dal conoscere un po’ meglio l’approccio che hanno con l’arte in tutte le sue sfumature.

INTERVISTANDO ISIDE

Il primo aprile scorso avete pubblicato il vostro ultimo singolo Nessuno in periodo in cui ognuno conviveva col proprio isolamento e nel social distancing. Il brano ricorda un po’ un incubo frutto di paranoie sul futuro e della violenza sottile che il presente esercita su di noi e dunque sul nostro immaginario. Quanto vi sta rendendo produttivi questo periodo al limite col grottesco?

Ci siamo mancati un sacco, al di là della questione musicale, siamo proprio gli amici che escono insieme il weekend, che si trovano a vedere i film o a vedere le partite. Ci è mancato tantissimo trovarci a fare ore di produzione, di prove prima dei live e a prenderci per il culo: il lato umano ha davvero sofferto tanto. Però abbiamo scritto tantissimo: ognuno dalla sua stanza/studio, davanti ad Ableton ci giravamo le idee sui nuovi pezzi, nuove voci intervallate da meme idioti, video folli. Ci piace un sacco “trash italiano” (la pagina Instagram), oppure il video della scimmietta che in moto rapisce un bambino. Ci siamo anche imposti ogni giorno di ascoltare artisti nuovi sconosciuti e inserirli nella playlist Spotify di gruppo. In un momento così folle servono gli stimoli per superare le giornate, per dare un senso al tempo che ti passa davanti.

Riascoltando i vostri brani uno dopo l’altro partendo dall’ep Indico fino ad arrivare all’ultima vostra uscita Nessuno si nota come le sperimentazioni elettropop iniziali si siano arricchite di ritmiche che provengono dalla trap. Quanto è importante per voi attenervi ai gusti musicali che sono più in voga tra i vostri (possibili) ascoltatori?

Dentro di noi quei due modi di fare musica esistono da tempo, la trap ha influenzato tutti, anche i metallari credo. Ci sono parecchi pezzi trap che metterei nella nostra top di ascolti. Ci sono quei personaggi un po’ ibridi, Frank Ocean e Tyler the creator tra tutti che non sono catalogabili nella trap ma sicuramente ne prendono gli elementi più interessanti, forse questa è la cosa che più ci interessa di quella scena. L’elettronica allo stesso modo ci è sempre piaciuta, ed ha anche un’identità solida in Italia, più di tanti altri generi. Sta anche tornando molto ultimamente (vedi Mace, Salmo, Ghali). È importantissimo essere consapevoli di vivere nel 2020, di conoscere molto bene quello che funziona e perché funziona, tutto ha un perché. Però non partiamo mai dal presupposto di fare musica per qualcuno che ci può ascoltare, pensiamo che il percorso sia inverso. A noi piace questo, ve lo facciamo sentire e speriamo che in tanti vedano le cose a modo nostro. Sicuramente ora il pubblico ascolta quello che gli piace, e non quello che viene proposto, sembra che ci sia molta più attenzione e selezione nelle scelte.

Nell’ultima live session di Nessuno i vostri contorni si materializzano su uno sfondo alla Windows 95, nel video di Fantasmi siete immersi tra i fiori di una serra, in Paradiso siete gli outsider in una serata di balera. Quale immaginate (e sperate) possa essere lo sfondo del vostro prossimo concerto?

Cerchiamo di unire l’utile al dilettevole, ti diremmo alle cascate del Serio, quelle presenti nel film Chiamami con il tuo nome di Guadagnino. Siamo di Bergamo quindi quel posto pazzesco dista pochi km da noi. Sarebbe un sogno fare un bel live in quel posto, un po’ come hanno fatto i Sigur ros nelle loro terre. Si potrebbe mantenere il social distancing, si starebbe all’aperto in un posto davvero incredibile. Oppure in un qualsiasi festival nazionale, se ci lasciate sognare forse diremmo l’OSS di Ortigia, altro luogo pazzesco. Ad ogni modo non vediamo l’ora di tornare live, di vedere le persone, di conoscerne, di fare amicizia con gli altri musicisti. Di andare al mare in tour e la sera suonare. Ci manca anche la parte di montaggio della strumentazione, di cercare come fare stare tutto in auto. Che bello, abbiamo così tanta voglia che quando sarà possibile farlo vorremo essere sempre in giro.

Mi ha sin da subito colpito il nome del vostro gruppo Iside. Che legame avete con questa divinità egizia?

Di lei ci piace la capacità di stare un po’ nascosta, da sempre viene rappresentata con il velo, come a dire ci sono, esisto, faccio delle cose, ma non mi piace stare al centro dell’attenzione, come se stesse lì a guardare cosa fanno gli altri, e poi agire di conseguenza. Poi il suo nome è bellissimo, volutamente abbiamo deciso un nome femminile, la questione della boy band è un po’ un gioco, ma essere poi identificati con un nome di una dea donna è bello, ci piace, non tanto per i significati mitologici della sua figura, piuttosto per il fatto che oggi Iside potrebbe essere la nostra vicina di banco, la nostra vicina di casa, anche noi in parte.

Avete detto che vi ispirate molto alla creazione poetica dei dadaisti. Quanto vi ritrovate nelle parole di Tzara quando scrive che per creare una poesia basta “prendere un giornale, ritagliare con cura ogni parola e metterle in un sacchetto”?

Questa immagine delle poesie dada ci piace tantissimo, l’idea di selezionare delle cose che stimolano un sentimento prese anche solo singolarmente, è un modo per dare valore ad ogni parola. È bello non sapere cosa accadrà alla fine, inconsapevolmente magari provi ad incanalare il flusso verso un obiettivo, ma poi qualcosa accade e cambia tutto. Bisogna poi dare un nuovo senso al lavoro, e ci piace così. In generale l’arte (soprattutto dalle avanguardie in poi) è un elemento importante, anche se non lo diciamo quasi mai esplicitamente nei pezzi, però tra gli studi e le passioni di alcuni di noi sicuramente è uno degli spunti principali, aggiungiamo il cinema tra queste cose. Passiamo le ore a consigliarci film di qualsiasi genere, a discuterne il senso. Inoltre, non saremmo mai stati capaci di scegliere a priori le parole, una dopo l’altra, rischiava di essere una limitazione anche. Questo metodo di scrivere esalta il nostro essere un po’ contraddittori, capita che le parole che stanno vicine, creano dei controsensi, come abbinare le righe ai pois. Che è bello.

Diteci un aggettivo che attribuireste a ogni componente per convincere chi ancora non vi conosce a considerarvi la sua boy band preferita.

Ahah. Come dicevamo all’inizio siamo tanto amici e darci soprannomi pare essere la nostra vocazione. Quindi te ne diamo uno serio e alcuni idioti (anche non aggettivi): Dario P. cieco/snitch/pastura, Giorgio giallo/magicmouse/mucapazza, Daniele ambiguo/shortlongneck/bigu, Dario R. anziano/chirurgo/granny.

 

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