Top Level | Indie Tales
Ieri io e Marghe siamo andati all’Ikea, il suo posto preferito della Domenica. Sì, della Domenica, quando è pieno così di gente e fai fatica anche a respirare. Una cosa folle, ma se è così folle – dice lei – allora perché così tanta gente ci va la Domenica? Perché la gente normale – rispondo io – lavora tutta la settimana e la Domenica è l’unico giorno in cui può andarci. Tu potresti andarci quando vuoi.
Mi tira sempre uno scappellotto quando uso il termine “normale”, e in effetti quello che abbiamo io e lei è tutto fuorché “normale”. Io ero quello che ogni tanto ci sta fare pazzie, mentre da quando ci frequentiamo mi ritrovo a dire spesso beh, ogni tanto facciamola una cosa tranquilla.
Ieri all’Ikea abbiamo ballato un lento in ascensore, i suoi piedi sopra i miei, visto che è alta quasi la metà di me.
Poi, girando tra gli scaffali delle cosa da bagno, mi fa: ma tu ci pensi mai alle cose che perdi mentre guardi uno scaffale? Cacchio, non c’avevo mai pensato.
Ogni conversazione con lei è un invito a guardare le cose da altri punti di vista.
Marghe sembra consapevole della sua vena di follia, ma a volte mi chiedo se non sia una fuga. Se lo abbia scelto lei di vedere il mondo dalla quella prospettiva così unica e diversa da tutti. Insomma, se sia felice davvero.
Stiamo anche tanto in silenzio. A casa sua, per esempio. In generale, quando siamo soli tra quattro mura accade spesso che ci guardiamo negli occhi senza dire una parola. Come se per interi minuti scegliessimo di perderci negli occhi dell’altro per vedere cosa pensa, o semplicemente per goderci quel momento fino in fondo, senza sporcarlo con discorsi inutili.
Sono alto quasi due metri, riesce a farmi sentire piccolo come un moscerino. Marghe ha finito il liceo a calci in culo, non lavora perché i suoi sono ricchi da fare schifo. Tre volte alla settimana va a fare volontariato in una zona nella periferia della città di cui non conoscevo neanche l’esistenza, e lei dice che quelli sono giorni felici per lei, giorni in cui si spoglia della sua identità per dedicarsi totalmente agli altri. È quando mi parla così, guardandomi dritto in faccia che mi fa sentire piccolo piccolo e in genere la mia risposta è un semplice, banale “ti amo”.
Sono le uniche due parole che scorrono nella mia mente tipo sottotitoli di un film ogni volta che Marghe mi parla di se stessa, di ciò che le piace, di ciò che non le piace affatto. Vorrei poterglielo dire ogni volta che voglio, con la faccia da scemo, nudo sulla poltrona in pelle in camera sua. Mi ci siedo spesso dopo che abbiamo fatto l’amore, anche se sono tutto nudo, anche se è in pelle, anche se è estate e finisce che il mio culo ci si appiccichi inesorabilmente.
Ormai vivo ogni cosa alla maniera di Marghe, anche la più banale, come fare la spesa. Capita che metta la salsa di pomodoro nel carrello, poi mi diriga verso il reparto ortofrutta e pensi: ora rimetto tutto a posto, compro due bottiglie di vino e corro da Marghe a fare follie con lei. Che poi non è mai la cosa in sé ad essere folle, ma il modo in cui la facciamo. Anche vedere un film di Tarantino a casa sua mentre mangiamo una bistecca diventa una performance artistica. Se guardiamo Kill Bill, imiterà almeno due delle scene più violente del film tenendo la forchetta in mano. Se invece il film in questione è Pulp Fiction, allora mi toccherà interpretare John Travolta che balla in modo dinoccolato con lei, che ovviamente è Una Thurman.
La vita con Marghe è così, non sai mai quello che ti aspetta e devi stare sempre al gioco, come quando i bambini ti offrono una tazzina vuota di tè e tu non solo devi berlo, ma devi anche complimentarti e chiedere il bis.
Io non credo che Marghe abbia avuto un’infanzia degna di essere chiamata tale, ma sono contento di fargliela vivere ora che ha 25 anni. Meglio tardi che mai.
Ora che sono seduto su una poltrona, ma quella del mio ufficio, chiudo gli occhi e penso di essere nudo sulla poltrona di Marghe e di farmi piccolo piccolo, e dirle “ti amo” ogni volta che voglio.