The Macnail Studio London

Clash | Indie Tales

Quando arrivi a Londra la senti, quell’energia. Quella strana aura che ti avvolge, quella darkness erotica e malinconica che solo lì puoi trovare.

Io e Londra siamo stati amanti fissi e occasionali, ogni tanto abbiamo provato a portare il nostro rapporto ad un livello più alto, ma non c’è mai stato verso. Lei mi chiamava e io arrivavo. Ho sempre risposto alla London Calling.

Ma più di tanto non riuscivo a restare, a mettere radici, a fare progetti a lungo termine lì. Ma so anche che quello che c’è tra di noi non potrà mai davvero finire.

Quella città mi ha insegnato la cosa più importante di tutte: mi ha insegnato a ribellarmi. Al “sistema”, alla parte di me più incerta e claudicante, a chiunque volesse imporre la propria volontà. Mi ha fatto capire non solo quante idee avessi nella mia testa, ma anche come dar loro forma e voce.

Ciò che mi portò a Londra la prima volta (ma anche tutte le seguenti) fu la musica. Suonavo il rock come mai si dovrebbe suonare il rock. Emulavo i grandi ma ero acerbo e i baffi che tanto bramavo faticavano a crescere sotto il mio naso.

Dopo i primi mesi nella capitale inglese cominciai a manifestare il caos che avevo dentro, diventai violento e allontanavo tutto ciò che credevo mi rendesse vulnerabile. Mi riempivo la bocca di grandi nomi senza sapere realmente cosa avessero fatto, mi sentivo invincibile e la rabbia prendeva sempre più spazio dentro di me. Mi tatuavo, cercavo rogna e suonavo come un dannato. Ecco, volevo essere dannato. Ero una magnifica costruzione, una bugia detta bene.

Andai avanti così per anni. Andavo via qualche mese per poi tornare sempre in quel posto che mi aveva insegnato a lottare contro me stesso, a tirar fuori la parte marcia.

Finché un giorno non ne ebbi abbastanza. Pensavo di non poterne più di Londra, della sua ombra. In realtà mi ero stancato di giocare a fare il ribelle e fu lì che lo divenni davvero. Smisi di fare a botte e mi levai quel ghigno dalla faccia.

Non mancarono giorni di tristezza e vulnerabilità, ma più passava il tempo e più mi sentivo vicino a me stesso, umano e difettoso.

La mia musica migliorò sensibilmente e i baffi cominciarono a crescere rigogliosi. Cominciai a scrivere la mia musica, l’ispirazione mi seguiva ovunque senza che la cercassi. Seguivo il flow londinese senza stereotipi.

La violenza che tanto avevo osannato prese una nuova forma, divenne quasi una musa, un simbolo di indipendenza e lotta per ciò in cui credevo ciecamente. Ero fottutamente lucido.

Le donne (che Dio le benedica) cominciarono ad interessarsi a me. A quanto pare, ciò che mi conferiva nuova carica erotica era proprio il mio lato fragile.

“Un angelo con la voce del demonio” mi definì Emily dopo una notte bollente.

Se oggi dovessi dare dei consigli ad un giovane musicista che cerca se stesso (per quanto trovi inutile qualsiasi opinione non richiesta), sarebbero:

 

“L’unica cosa che ti occorre per suonare è seguire la tua ingenuità.

 

Se ti accontenti di una birra, stai sbagliando.

 

Ogni proclama è necessario se combatti con lucidità.”

 

Che poi, sarebbero anche ottime frasi da scrivere sulla mia lapide.

Racconto liberamente ispirato al brano Clash dei Calcetto