Guido Nicolè: “Esorcizzare la paura” | Intervista

“C’è tanto buio, ma ogni tanto la luce torna”. Questo il messaggio dietro all’ultimo EP di Guido Nicolè “Canzoni Lo-Fi”, uscito lo scorso 20 settembre. D’altronde cos’è la vita se non un continuo oscillare tra noia e speranza? I cinque brani che compongono l’EP sono un racconto della quotidianità dell’artista e delle sue paure, in chiave appunto “lo-fi”, ovvero a basso costo. Non tanto per volontà del cantautore, quanto per il fatto che il tutto sia nato durante il lockdown. Tuttavia questo risultato “casalingo” dona all’EP un’aura di profonda intimità, che ben si collega al tema del quotidiano. Quella del polistrumentista padovano è una musica da ascoltare più volte nell’arco di una giornata, nei momenti luminosi e in quelli bui, quasi “a caso”. D’impulso, un po’ come il jazz.

Intervistando Guido Nicolè

Ciao! Quali tappe ha avuto, più o meno, la tua storia d’amore con la musica finora?

La musica c’è sempre stata da che ho memoria, in casa se ne ascoltava costantemente, bella e non, quindi sì, siamo molto amici da sempre. La passione per la chitarra è iniziata nel periodo delle scuole medie, dopo un tentativo andato piuttosto male con il pianoforte e soprattutto dopo aver ascoltato, sempre nello stesso periodo, Are you experienced? di Jimi Hendrix. Lì è successo qualcosa, volevo suonare anch’io così. Bene o male, passando da un genere all’altro, non ho mai smesso e negli anni ho capito che sarebbe stato bello provare a fare quello per vivere. Mi sono iscritto al conservatorio dove ho frequentato il corso di chitarra jazz, più per “costringermi” a studiare con metodo che perché abbia delle velleità da jazzista.  

Hai una base per così dire “classica”, avendo studiato al conservatorio. Com’è avvenuto il passaggio alla musica lo-fi?

Il disco è nato durante il lockdown, quasi per necessità di impiegare il tempo. Scritte le canzoni, ovviamente, non potevo cercare nessuno che le cantasse e le suonasse con me, quindi l’ho fatto io. Ho registrato da casa tutti gli strumenti e nei mesi successivi mi sono permesso di aggiungere delle parole. Il risultato, casalingo (da qui “lo-fi”), lo trovo una giusta metafora della primavera. È stato un anno per tanti motivi da lasciar scivolare via, come questo EP.

I testi, accostati all’aurea di sospensione data dalla musica, regalano invece immagini molto nette e quotidiane, rendendo il tutto altamente artistico. Scrivi da solo o ti affianchi a qualcuno?

In genere scrivo da solo e poi sviluppo musica e testi fino a che non arrivo al dunque. Nell’EP, su Salice e soprattutto su In fondo, c’è anche la mano di Andrea Zagon, caro amico e ottimo chitarrista, che mi ha aiutato con qualche guizzo in fase di composizione.

La copertina dell’EP è un quadro astratto e rappresenta perfettamente il contenuto. Esiste un dipinto, un pittore o una corrente che ami particolarmente?

Amo la ricerca della bellezza degli antichi e l’esplosione emotiva dell’espressionismo, amo l’arte del quotidiano e quella che ti fa decidere cosa vedere. La musica non la vedi, quindi è, allo stesso modo, interpretabile. Il dipinto sulla copertina è opera di una mia amica, Cristina Porro. Penso di aver preso in esame centinaia dei suoi lavori, e questo mi sembrava il più adatto per descrivere l’atmosfera dei brani: c’è tanto buio, ma ogni tanto la luce torna.

Che nesso c’è tra Opening, Maggio, Budino, Nebbia e Salice?

Sono tutti frutti dello stesso albero, le cui radici nascono da quello che mi succede. Il concept del disco è esorcizzare la paura, dall’immersione totale in essa, al rifiuto, passando per l’accettazione. Sta a chi ascolta capire in quale ordine.  

Se non componesse musica, cosa farebbe Guido Nicolè?

Ho 26 anni e ancora non l’ho capito. Quindi, nel dubbio, suono.

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