We Are Who We Are | La serie di Luca Guadagnino che ci ha rubato il cuore
Di Vernante Pallotti
Un quattordicenne americano insopportabile, con i capelli platino e gli auricolari perennemente nelle orecchie e una ragazza apparentemente tosta, corrosa dalle insicurezze che cela dietro a una massa di capelli ricci. Aggiungiamo l’ambientazione in un non-luogo come la base militare americana di Chioggia e avremo gli ingredienti della miniserie italo-americana ideata da Luca Guadagnino, Paolo Giordano, Francesca Manieri e Sean Conway.
Dal debutto del 9 ottobre su Sky Atlantic, We Are Who We Are ha già fatto parlare di sé come una serie “anticonformista”. In realtà la serie non è più sconvolgente di altre che affrontano tematiche ormai sdoganate dell’adolescenza, come la ricerca dell’orientamento sessuale. Pensiamo solo a Euphoria, creata da Sam Levinson, per HBO, guarda caso, come la serie di Guadagnino.
Entrambi i prodotti sono caratterizzati dalla libertà di narrazione a cui ci hanno abituato i prodotti statunitensi, quella crudezza che, nei teen drama Italiani alla Summertime di Netflix, ancora oggi ci sogniamo (anche se qualcosa sta cominciando a muoversi, basti pensare all’esempio di Skam Italia). L’anticonformismo di We Are Who We Are non sta dunque nella trama in sé. Non potrebbe essere altrimenti, considerato che Guadagnino, ha dichiarato, in maniera provocatoria: «Il concetto di trama è alieno al cinema».
Cosa c’è allora di così intrigante in quest’ambiziosa serie? L’indizio sta nel titolo, “Siamo chi siamo”, che rende l’idea dello sguardo che analizza i personaggi, evitando gli psicologismi e seguendo genuinamente, con spirito di osservazione, il loro comportamento. Il risultato sono caratteri vivi, al punto di sfuggire quasi al concetto di personaggio, vicini alla tridimensionalità di esseri umani. Identità in continuo divenire, da quelle degli adolescenti, che affrontano i cambiamenti radicali della loro età, a quelle degli adulti, alle prese con relazioni disfunzionali e delicati equilibri. Sono tutti chi sono, ovvero un “non-qualcosa”, come li ha definiti la sceneggiatrice Francesca Manieri « Non straight, non bianchi, non americani… ».
L’impressione di star spiando dalla finestra le loro vite si acuisce nei momenti in cui gli attori eseguono gesti apparentemente casuali, simili a errori di recitazione: Fraser che inciampa negli auricolari aggrovigliati, Caitlin che seppellisce il suo primo assorbente sotto la sabbia o una ragazza che si gratta il sedere mentre se ne va dalla festa. Sono questi momenti privati dei personaggi che permettono di sfuggire ai cliché delle scene trite e ritrite del linguaggio cinematografico, creando l’impressione di realtà.
We Are Who We Are non offre una bella storia ad uno spettatore passivo, ma lo coinvolge in un mondo complesso di desideri, relazioni e istinti. Una serie fresca che parla di tutto e niente, quindi, in fondo, della vita.
Un altro tassello che impreziosisce il mosaico narrativo di queste serie è indubbiamente la colonna sonora. I brani scelti per accompagnare le vicende narrate si amalgamano perfettamente con l’intenzione e le emotività distinte delle scene madre. Calcutta, Raf, Anna Oxa, Lucia Manca e soprattutto BLOOD ORANGE; producer e cantante inglese che con il suo Rnb, evocatore di atmosfere intime e sensuali, accompagna la crescita dei personaggi di questa serie che ci ha rubato il cuore.
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