Amber: “Porta Genova” è un girone dantesco | Intervista

Voglio introdurvi questa intervista con gli Amber raccontandovi una mia avventura dentro la metropolitana di Milano, avvenuta qualche inverno fa al ritorno da un viaggio a Vilnius.

Praticamente ho quasi avuto un attacco di panico vedendo la stazione piena di gente che correva su e giù, incasinata all’interno di passi sempre più veloci e orari da rispettare.

Figuratevi,  mi ero abituato alla calma della Lituania, dove giravamo in taxi alla modica cifra di neanche 5 Euro (da dividere) e alla sua tranquillità. Milano era proprio l’opposto.

Gli Amber dentro “Porta Genova” descrivono questa confusione disorganizzata come un girone dantesco nel quale l’amore, in maniera talvolta sadica, vuole complicare le cose.

Il  centro della  canzone è la storia di un incontro, due percorsi opposti che si ritrovano alla stessa fermata lungo un tragitto composto da scelte sbagliate e rinunce dolorose.  Uno sguardo sicuramente non ricambiato è l’inizio di un altro colpo di fulmine che colpisce un cuore infranto.

INTERVISTANDO GLI AMBER

Chi sono gli Amber?

Gli Amber sono quattro ragazzi di Vigevano: Andrea, Federico, Giacomo e Riccardo. Hanno iniziato a suonare insieme a 13/14 anni nel 2010 e, a quanto pare, dopo dieci anni non hanno ancora finito.

“Porta Genova” che storia racconta?

Racconta di una relazione impossibile ambientata sul set della famigerata tratta ferroviaria Milano (Porta Genova) – Vigevano, ben nota ai frequentatori abituali per essere teatro di risse, furti, pianti, treni fantasma e, non ci crederete mai, anche storie d’amore. Come il Poeta fu traghettato da Caronte da una riva all’altra, in questo viaggio il protagonista approda dalla provincia al caos infernale della città di Milano: schiere di anime dannate si confondono nella nebbia impenetrabile in un vortice di cinismo e indifferenza, tipica del particolare girone dantesco che è la linea verde della metropolitana meneghina.

Come s’intuisce dal clima del brano però, l’epilogo di quest’avventura non è altro che una grande amarezza. Beatrice, dove cazzo sei?

 

Quali sono tre cose che si devono assolutamente fare a Milano?

Pur essendo Vigevano una realtà totalmente a sé stante anche se molto vicina a Milano, il nostro rapporto con la city si è consolidato sempre di più nel corso degli ultimi anni, tra università e lavoro. Non per tutti è stato il massimo: citando il testo della canzone, per alcuni è stata una conquista, per altri un rimpianto.

Tre cose da fare assolutamente a Milano? Prendere la metro per andare a lavoro nel mese di luglio vestiti in giacca e cravatta, percorrere la circonvallazione esterna in risciò di notte (confusi? Andate sul nostro canale YouTube) e andare a sentire gli Amber al Rocket.

Vi siete mai persi dentro una metropolitana?

Di perdere la nostra persona no, ma è capitato di perdere la calma, vedendosi partire in faccia, per una manciata di secondi, “l’ultimo treno della sera per scappare via”, sempre per citare la canzone.

Diciamo che la metropolitana di Milano non è esattamente il posto in cui vorremo passare la nostra vecchiaia, ecco. Però, se ci annoia e si vuole vedere un film, il personale ATM dentro i gabbiotti fa proiezioni continue.

Vestirsi alla moda significa essere persone vanitose?

Il presupposto d’obbligo è che c’è una distanza enorme tra chi è davvero appassionato di moda e chi lo fa solo per farsi vedere. Detto ciò, rispetto a quelle che sono le mode attuali, la vanità viene molto stuzzicata dal senso di elitarismo che alcuni brand hanno deciso di trasmettere.

Affrontiamo una tematica simile nel nostro primo singolo Supreme, in cui raccontiamo attraverso la metafora di una relazione amorosa il rapporto morboso tra chi compra e quello che compra, quando quello che compra è un capo firmato a tiratura limitata.

Credete ai colpi di fulmine?

Assolutamente sì. Senza di loro questa canzone non sarebbe mai nata, come non sarebbe mai nata questa band, non sarebbe nato il rhythm and blues, Jordan non avrebbe mai messo il tiro del +1 in gara sei contro Utah, The Snatch non avrebbe un audience score del 93% su Rotten Tomatoes e di certo nessuno avrebbe mai pensato di soprannominare Roy Sullivan “parafulmine umano”.

Siete tornati per restare: cosa avete fatto tra “Supreme” e “Porta Genova”?

Abbiamo lottato a lungo contro i mulini a vento, perdendo molto tempo. La vita di chi vorrebbe fare musica nella vita è generalmente costellata di attese infinite, occasioni perse e scelte sbagliate, scelte sbagliate ma soprattutto scelte sbagliate.

Però, come dice un grande saggio, “Anything that’s successful is a series of mistakes”. Speriamo di essere dunque sulla strada giusta e continuare a sbagliare ancora per un po’.

Come vi sentite ora che sta per uscire il vostro album d’esordio? Potete darci qualche spoiler?

In un’altra intervista abbiamo parlato dei BPM delle singole tracce. Quale cazzata potremmo dire ora? L’intro del disco getterà le basi della musica strumentale per le generazioni a venire. Prego, pianeta Terra.

Grazie a Indie Italia Mag per la bella intervista, a presto!