Americana Rock Band: Teniamo alta la bandiera del rock americano in Italia | Intervista
Gli Americana Rock Band, gruppo nato nel 2013, propongono un rock tipicamente americano, caratterizzato da chitarre elettriche, pianoforti ed organi hammond e dal pulsare continuo della sezione ritmica basso e batteria, con testi in italiano. I brani risentono delle influenze che hanno portato i sei musicisti marchigiani a fondare la band, dai Counting Crows ai Black Crowes sino ad arrivare al southern rock dei Lynyrd Skynyrd ed a mostri sacri come Bob Dylan e Tom Petty.
Il tutto proposto in italiano, per porre la maggiore attenzione possibile ai testi, elemento rispetto al quale il gruppo nutre da sempre una forte passione. Ad oggi la band ha pubblicato 3 singoli: “Memphis”, “Dottor Jekyll & Mr. Hyde” e “Quei ragazzi”, mentre – pandemia permettendo – sono pronte per essere lavorate in studio “Pescatore di perle” e “Tutte scuse”, i prossimi singoli in uscita. Obiettivo del sestetto è di pubblicare un intero album di inediti. Ecco la nostra intervista alla band marchigiana.
Intervistando gli Americana Rock Band
Al momento sono usciti già tre vostri singoli, ma state puntando a pubblicare un album completo: cosa possiamo aspettarci dagli Americana Rock Band?
Quello che abbiamo pubblicato sinora è una parte del nostro linguaggio e del nostro modo di fare musica. In questo periodo stiamo lavorando sui due nuovi singoli, sperando che la pandemia arretri e ci lasci la possibilità di entrare in studio quanto prima. Nei nuovi brani esploriamo un lato della band che fino ad ora non era emerso. In “Pescatore di perle” ad esempio, il prossimo previsto in pubblicazione, abbiamo giocato un po’ con suoni e strutture del rock progressive, mentre “Tutte scuse” è senza dubbio la nostra canzone più scura, quasi Cure come idea di fondo. Non siamo bloccati in un contenitore chiuso, se un suono o un’idea ci convince ed è funzionale alla canzone, non ci facciamo problemi ad inserirla.
Come avviene il processo creativo per voi? Scrivete dei testi da musicare oppure, come si addice ad un determinato genere, i brani vengono da lunghe jam a successivamente si aggiunge un testo?
Nella maggior parte dei casi il brano nasce in maniera scheletrica, chitarra e base melodica della voce. Una volta che la canzone arriva in sala prove ci lasciamo la totale libertà di stravolgere, tagliare, cambiare l’incipit etc…”Dottor Jekyll e Mr. Hyde” nella prima versione era molto diversa da come è poi diventata, il ritornello ad esempio lo abbiamo riscritto ex novo dopo almeno un anno di lavoro. Però sì, il termine jam è giustissimo. Una volta definita tutti insieme l’ossatura nella canzone, ognuno è liberissimo di suonare come vuole. Spesso arriviamo in studio di registrazione e ci lasciamo anche in quel contesto ampia libertà di improvvisare. Questo è il tipo di rock che ci piace.
Un decennio fa le band italiane che proponevano musica di stampo USA erano all’ordine del giorno, mentre adesso sono una mosca bianca. Come ci si sente ad essere outsider di un genere che in realtà è tra i più ascoltati al mondo?
Per come la vediamo noi, neanche 10 anni fa c’era qualcuno in Italia che proponesse veramente un sound ed un approccio da rock americano. Come termine, “rock” contiene al suo interno tutto ed il suo contrario. E’ vero, qualcuno negli anni ha ripreso delle sonorità americane, ma di altra tipologia, guardando ad altri stili. Noi siamo in sei, voce, due chitarre, basso, batteria ed una tastiera che spesso è settata su pianoforte ed organo e tutto ciò, come ti dicevo prima, con un suono ricco e “libero”: chi lo fa oggi in Italia?
Essere outsiders non è un problema. La musica è come la moda, è ciclica. Oggi sei outsiders, domani sei mainstream, ma in realtà l’unico obiettivo è suonare ciò che ci piace, fregandocene. Poi certo, nel 2020 siamo quasi tutti concordi nel dire che i migliori due dischi dell’anno siano stati pubblicati da Bob Dylan e da Bruce Springsteen, non male per un genere che dalle nostre parti non riceve le giuste attenzioni.
Quando scrivete, lo fate immaginando un pubblico straniero oppure avete come obiettivo riportare l’ascoltatore italiano su certe sonorità?
La scelta più importante l’abbiamo fatta decidendo di scrivere in italiano. In inglese sarebbe stato più semplice, ma da sempre abbiamo una forte attenzione ai testi e se non sei madrelingua non riesci a rendere le sfumature. Quando abbiamo fondato gli Americana Rock Band andavamo in giro per locali abbinando ad ogni cover proposta un romanzo della letteratura americana. Quell’esperienza è stata fondamentale e non potevamo scegliere altra strada: d’altronde ci piacciono Adam Duritz dei Counting Crows ed ovviamente Dylan.
Le vostre influenze sono chiare e ci riportano a mostri sacri come i Black Crowes (che, per inciso, sono tra le mie band preferite!). Ma se doveste indicare alcuni colleghi italiani che vi piacciono particolarmente, chi sarebbero?
Che gran complimento che ci fai, grazie! I Black Crowes sono una delle band che preferiamo in assoluto, infatti l’abbiamo suonata molto negli anni! In Italia, come ti dicevamo, quel suono lo ritroviamo con difficoltà. Ci piacerebbe però tornare un po’ indietro negli anni e citare soprattutto i Rocking Chairs, veri e propri precursori del suono americano. In quella band c’era Antonio “Rigo” Righetti, che è un nostro amico e per il quale tempo fa abbiamo fatto da open act in un concerto. Quel suono lì lo sentiamo vicino a noi.
Ci sarebbero i Negrita del secondo album, quando sono volati a New Orleans negli studio di Daniel Lanois. Poi, in tutta sincerità e sconfiggendo tanta puzza sotto il naso che c’è nel mondo musicale nostrano, “Buon compleanno, Elvis!” di Ligabue è ad oggi l’unico disco italiano suonato, pensato e registrato con quel sound lì, infatti dopo 26 anni non risente del tempo.
La canzone americana e quella italiana (ovviamente non vostre) che avreste voluto scrivere e perché?
Per tanto tempo ci siamo emozionati nel suonare “Round here” dei Counting Crows, il pezzo introduttivo del loro bellissimo “August and everything after”. E’ una simbiosi unica tra melodia e liriche appassionate. Dal vivo ne suonavamo una versione lunghissima e dilatata. Da circa due anni a questa parte, tutte le volte che ci ritroviamo in sala prove la prima canzone che suoniamo è “Sweet Home Alabama” dei Lynyrd Skynyrd, abbiamo quel retroterra lì, c’è poco da fare. Di italiano, “Impressioni di Settembre” della PFM: come ti dicevo stiamo scoprendo in nostro lato progressive.
Sicuramente gli Americana Rock Band vivono principalmente della dimensione live: raccontateci un vostro concerto “tipo”, la preparazione che c’è dietro e come pensate di ritornare dopo questo anno di fermo.
Adesso tutte le forze sono focalizzate per scrivere, arrangiare e registrare nuove canzoni in vista del nostro primo album. Una volta che avremo terminato questo lavoro lo presenteremo in giro, ma con grande attenzione alla location. Come dici tu, noi siamo una band che predilige il live e, per il modo in cui suoniamo, ci piace il concerto all’aperto, dove si può apprezzare maggiormente il “wall of sound” che una formazione come la nostra propone. Sicuramente inseriremo anche 3 o 4 cover storiche, per far comprendere da dove nasce il nostro suono.
Qual è, tra i vostri brani, quello a cui siete più legati e perché?
Premesso che dietro ogni canzone c’è un lavoro talmente importante che facciamo difficoltà a sceglierne una, in “Quei ragazzi” c’è stata una facilità di arrangiamento e registrazione che ci ha fatto intuire sin da subito le sue potenzialità. E’ un brano introdotto da un Fender Rhodes – cosa non usuale dalle nostre parti – e poi è un crescendo sino al ritornello. Nel testo ci chiediamo dove siano finiti quei ragazzi che scrivevano sui muri i versi di Baudelaire, che sognavano New York e l’America e leggevano Kerouac ad alta voce. Solo domande, tante domande, le risposte non le abbiamo. E se mai se ne fosse una “The answer, my friend, is blowin’ in the wind”.