L’esordio di Paolantonio è sicuramente qualcosa di molto curioso e interessante. È la storia di un uomo che ama la sua vita e i suoi sogni,( ma forse non vuole ammetterlo), anche se ha la sensazione di trovarsi fuoriposto, in un mondo complesso e ingarbugliato.
Il disco dal nome “Io non sono il mio tipo” è una dichiarazione di guerra al falso mito dell’autostima, al credici sempre, all’ottimismo tossico, e rappresenta la voglia di viversi qui e ora, senza rifugiarsi nel chi eravamo e senza fuggire nel chi vorremmo essere.
La realizzazione di questo progetto è stato reso possibile anche grazie ad una campagna di crowfunding, che ha funzionato proprio come se il pubblico si fosse ritrovato e immedesimato dentro lo storytelling di Paoloantonio, ricco di eroi inconsapevoli e mondi decadenti, allo stesso tempo autentici, interessanti, e profondamente umani.
L’artista trova ispirazione in quelle cose che possiamo vedere tutti i giorni sotto gli occhi, ma che ignoriamo e superiamo senza cercare di ricavarne un po’ di poesia.
Dalle case popolari agli omini del calcetto, scartando caramelle seduti sui vagoni della metropolitana, Paolantonio arriva alla soluzione che “Io(lui) non sono il mio tipo”, senza pretendere comprensione dagli altri.
Ascoltando il disco però è impossibile non dirgli: “Anche se non sei il tuo tipo, a noi ci piaci così!”
Mi sono recentemente evoluto da artista emergente a galleggiante, ma è solo uno scatto d’anzianità.
Ne uso due insieme: “E ti vengo a cercare, Centro di gravità permanente”! È un album di ricerca, di domande più che di risposte; ma c’è anche il bisogno umano di trovare un appiglio, di sentirsi stabili, centrati, orientati.
Puntano alla porta avversaria, inconsapevoli di non essere i veri giocatori della partita. “Sognano lo scudetto” ma sono intrappolati, trafitti, ostaggio di un gettone. Ma loro non lo sanno e guardano avanti. Un po’ li invidio.
Sto rispondendo a queste domande con cinque giorni di ritardo. Scusate!
C’è sicuramente un bambino, un bambino che deve imparare a sentirsi degno d’amore. E poi magari diventerà grande e arriverà Cupido.
È quella cosa che mi sento quando sono all’estero e cerco il bidet (che poi è francese): una serie di abitudini, esigenze e lamentele che mi confortano tantissimo.
Via Farini 80 è un viaggio più che un indirizzo di destinazione.
In questo momento: una partita di badminton si disputa in cortile; il profumo di curry ha felpato le scale; muratori dell’est ristrutturano l’appartamento di sopra (la gentrificazione che avanza).
Sì, ma poi finisce male.
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