Thankakiko: “E’ un privilegio canalizzare un dolore nell’arte” | Intervista
THANKAKIKO è un produttore, cantautore e suonatore di organetto che pensa che i generi e i confini nella musica siano acqua passata. La sua profonda passione per i campioni Blues, Funky e Soul si mescola con le vibrazioni di Electronica, Dubstep e Crunk. Negli ultimi anni ha iniziato a concentrarsi sul rafforzamento della sua firma sonora finendo per trovare uno strumento inaspettato: le sue corde vocali, con le quali sta dando voce ai suoi testi. Attualmente studia alla scuola di musica Point Blank, risiede a Berlino ed è attivista per il movimento #Bodypositive. L’enorme empatia di THANKAKIKO lo rende un connettore umano durante qualsiasi evento.
THANKAKIKO esordisce con il nuovo Singolo ispirato da un anno a guardare film, meditare, fare il pane, cucinare, Smart-working e Homeschooling. Quasi 50 anni dopo l’album con la copertina più iconica di sempre, “Corona No More” è l’approdo di sperimentazioni musicali che THANKAKIKO va operando nella sua produzione, includendo parti cantate che di certo non sono la sua caratteristica principale. Ma stavolta qualcosa andava cantato/urlato perché “non jela famo più”… è ora di tornare alla vita normale. Più grassi e più felici, Covid non ci avrai!
Intervistando THANKAKIKO
Cosa ti ha portato a voler “dare voce” alla tua musica?
Mi piacerebbe poter dire “semplicemente” il lockdown… la pandemia… il tempo a casa da solo (che sicuramente mi ha spinto a provare cose nuove). In realtá il motivo esistenziale vero, è la brutta esperienza personale che sto passando per mia figlia che non riesco a vedere. Il mio è stato – e ancora è (con la produzione dei nuovi pezzi) – un modo per fronteggiare a viso aperto un male grande. É un privilegio grandissimo poter canalizzare nell’arte un dolore, ridurlo e deriderlo in un pezzo leggero e divertente (anche stupido, volendo). É la voce ad avermi permesso di uscire dal lockdown interiore che avevo.
“Corona No More” è un po’ un mantra che tutti noi ripetiamo da mesi: ma se dovessi fare un bilancio, questo stop forzato, ha portato qualche beneficio alla tua persona?
Magari sono un po’ condizionato eh, ma penso che se cantassero tutti la mia canzone per la legge dell’attrazione magari succede davvero “Corona No More”… (vai a sapere… l’universo é strano eh…)
Io sono molto grato a questo periodo, nonostante la vicenda personale negativa, ho imparato a dare valore al tempo: il tempo di imparare a fare cose nuove, tempo di ricercare, tempo per sperimentare e sbagliare. Non sapevo fare i dolci per esempio, non sapevo pulire le finestre e invece adesso…! Non sapevo cantare e non lo so fare ancora (rido da solo).
Vivi a Berlino ma canti in italiano: come reputi la scena nostrana degli ultimi anni? Cosa salveresti e cosa butteresti giù dalla torre?
La vita da expat mi ha permesso di raggiungere una visione abbastanza oggettiva della scena italiana. Partiamo da un presupposto: penso che la “monnezza” e l’eccellenza ci siano in tutti i paesi, l’Italia non fa eccezione. Quello che butterei dalla torre peró è sicuramente:
L’istinto di auto-flaggellamento
Un istinto all’auto-flagellamento sia da parte di molti ascoltatori che “la musica italiana fa tutta schifo, non la posso sentire, vaderetro” sia di alcuni artisti che “tanto se non conosci non ce la fai… è inutile promuoversi… è inutile imparare a farsi strada da soli“. Questa mentalitá soffoca l’arte, magari anche eccellente.
La musica è uno scambio, sempre. Senza questo scambio la diversitá musicale regredisce: senza la domanda di pezzi di qualitá, la scena si appiattisce. Senza uno spirito propositivo l’artista non si evolve e la sua musica segue fedelmente la sua frustrazione.
La mancanza di coraggio
La mancanza di coraggio di diversificare nel mercato musicale e portare alla luce nuove sonoritá sui principali canali di ascolto. Il nuovo fa paura, si pensa che non venda abbastanza, e di conseguenza gli ascoltatori ascoltano sempre le stesse cose. Gli addetti ai lavori, i decision-makers sono figure fondamentali per educare il pubblico ed emancipare la scena musicale nazionale. Sono loro a dover prendere decisioni “educatamente” rischiose, sono loro che possono emancipare la industry. È una grande opportunitá che in pochi colgono.
L’Iper Critica
La presunzione di sapere cosa è vera musica e cosa no. L’arroganza di pensare che i propri gusti siano la veritá assoluta e che tutto il resto siano solo canzonette… Ci vuole piú apertura: il valore della musica è la diversitá. Il jazz o la techno raccontano delle storie diverse, cosí come le raccontano il pop, la trap o il folk. Non tutte le storie possono piacere, ma è giusto e meraviglioso che ci siano.
Io non mi sento italiano, ma per fortuna o purtroppo lo sono… e so che ci sono progetti artistici meravigliosi… i primi che mi vengono in mente qui su due piedi sono lo Studio Murena o il Duo Bottasso, ma ce ne sono tantissimi altri… ma serve un cambio di passo nella mentalitá di tutti, basta “piagnese addosso”, è il momento del coraggio di suonare e ascoltare cose sconosciute. L’ascoltatore deve essere piú sereno e piú curioso perché si puó amare un Enrico Sangiuliano allo stesso modo di un Filippo Gambetta. E va bene cosí, la musica lo permette.
Parlaci del tuo nome d’arte? Qual è la storia che si cela dietro THANKAKIKO?
Ero una fiera di lavoro in Portogallo (no, nonostante l’incredibile talento non vivo di musica!), di quelle estenuanti, che durano 5 giorni senza sosta, padiglioni immensi, piedi che bruciano,,,
Ecco, ero a questa fiera con una mia collega ed amica di lavoro, eravamo stanchi, stremati e una sera decidiamo di passarla a bere Porto e a parlare di sogni e speranze anziché nei padiglioni col neon.
Mentre parliamo, rivelo il mio sogno di musica.
Lei con il suo straordinario aplomb afro-giapponese mi dice “Wow, anche a me piacerebbe avere un sogno, una spinta come quella che vedo dentro di te”. Il nome di quella collega è Akiko. É da quel momento le sono grato: ha verbalizzato qualcosa che avevo bisogno di sentirmi dire per capire quanto valore abbiano i sogni. Da quella sera sono diventato “Grazie Akiko”, che siccome mi suonava male ho poi reso internazionale in THANKAKIKO.
Andiamo un po’ fuori dall’ambito musicale…sei un attivista del body positive: cosa vorresti dire a chi vive un “disagio fisico” da quarantena forzata?
Un disagio fisico per una cattivitá forzata è piú che comprensibile e giustificato in questo momento. Ma è una grande opportunitá per tutti noi secondo me, per imparare a processare e vivere a pieno il disagio e raggiungere una consapevolezza di noi stessi piú elevata. Questo dovrebbe succedere con tutte le emozioni e le situazioni della vita, ed è un modo per vedere la quarantena come un’occasione piuttosto che una tortura. Il mondo in cui viviamo ci obbliga a reagire a contrastare costantemente la sofferenza… i social per esempio raccontano una never-ending-happy-story di chi siamo… ma io preferisco l’autenticitá e la fallibilitá del nostro livello emozionale che ha bisogno di tempo, che obbliga a “passare attraverso” il proprio sentimento con onestá e serenitá per evolversi come persone.
Stare da soli non è facile, ma si puó imparare. Stare da soli non è facile, ma ti fa capire quanto gli altri siano importanti. Il mio attivismo nasce dalla mia esperienza personale. Avere un corpo fuori dai canoni della bellezza estetica comuni puó essere alienante, ti fa soffrire la diversitá e ti fa sentire solo, proprio come in una quarantena forzata. E ci sono troppi pochi uomini a dirlo. Ma è questa sofferenza che mi ha fatto
evolvere, è questa solitudine che mi ha reso una persona piú consapevole, ed è stato il mio processo di accettazione ad aver forgiato la mia intelligenza emozionale. E questo percorso spero che possa ispirare altre persone a sentirsi felici di chi sono e di come sono, portandole a capire che non passa dall’omologazione estetica la felicitá personale.
Quali sono i tuoi prossimi progetti?
Facile, riuscire a vedere mia figlia e continuare a lavorare sull’album che mi sono prefissato di far uscire.
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