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“La musica pop la puoi fare soltanto se c’hai delle idee” | Recensione di “Tante Care Cose ” di Fulminacci (Album)

Di Benedetta Fedel

Dopo il debutto al settantunesimo Festival di Sanremo con la romantica Santa Marinella, prodotta dal vincitore di un Grammy nel 2015, Tommaso Colliva, il 12 marzo 2021 è uscito l’ultimo disco di Filippo Uttinacci, in arte Fulminacci, Tante care cose.

E, in effetti, sono sorprendentemente tante le cose che ci sono nell’ultimo album. Questo si nota chiaramente fin dalla copertina, generata tramite un software d’intelligenza artificiale. Difatti, se a primo sguardo vediamo un razzo, delle sagome, una luce, in un’atmosfera da sogno o film di fantascienza, avvicinandoci, capiamo che è solo un effetto ottico, un mix di colore e forme che possono essere tutto quello che noi ci vediamo dentro.

Per alcuni versi il cantante romano rimane sempre attaccato allo stile Silvestri/Dalla/Jovanotti/Battisti/De Gregori – modelli spaventosamente ingombranti anche se, dopotutto, come ribadisce in Forte la banda, mi piace la musica quella dei grandi.

Tuttavia, apporta considerevoli novità da un punto di vista sonoro.

fulminacci

Fulminacci ci propone un album più ‘consapevole’, verrebbe da dire. Infatti, nonostante un mix di suoni e argomenti che non seguono un ordine logico e il richiamo a modelli per cui è difficile non ricadere nell’imitazione, avere la capacità di guardare al passato e al futuro contemporaneamente è sicuramente singolare per un ragazzo di 23 anni.

I produttori Giordano Colombo e Federico Nardelli accompagnano Fulminacci anche nella composizione di quest’album, che si allontana un po’ dal precedente e tenta qualcosa di nuovo, spaziando tra generi e argomenti di diversa natura.

Come una kodak usa e getta, questo album potremmo farlo sviluppare quasi fosse un rullino: l’amore, il passato, le biciclette, l’Africa, il mare, le brutte figure, l’Italia, la società di oggi…

La prima volta che lo si ascolta ci si vede a passeggiare soli sul lungo Tevere in una giornata di sole. Quelle giornate in cui anche le ferite più profonde possono essere cantate con la chitarra acustica, amare ci fa un po’ meno paura e la polemica più aspra può essere fatta con il sorriso di chi sa di avere ragione e non cambia idea, di chi non ha paura di dirti odiami e vaffanculo.

Fulminacci canta la musica pop la puoi fare soltanto se c’hai delle idee. Si può dire tanto di quest’ultimo album, ma una cosa è certa: lui di idee ne ha.

Se alcuni brani rimangono coerenti con il disco pubblicato due anni fa, La Vita Veramente (più pop leggero, con una forte tendenza all’acustico) e lo rivediamo in pezzi come Tattica o Giovane da un po’, altri sono ritmati e hanno suoni più moderni, come in Canguro, o elettronici (stile Thegiornalisti dei tempi d’oro), chiaro in La grande bugia. Altri ancora invece hanno elementi funky, come la meravigliosa Miss Mondo Africa.

Insomma, anche Fulminacci segue il trend che ultimamente sta caratterizzando il mondo indie nella composizione degli album: pezzi che sono mix di elementi musicali derivanti da qualsivoglia genere musicale, molto diversi l’uno dall’altro. L’eterogeneità è diventata una vera e propria moda nel mondo indie-pop.

Nel nostro caso, il risultato complessivo è un disco fatto bene e scritto bene, benché possa apparire un po’ “spaesante” a tratti.

L’impressione che si ha infatti è quella di leggere un diario che l’artista ha tenuto per due anni, perché si sa che i pensieri non possono avere un ordine preciso, né una coerenza interna: tante care cose, appunto.

E quindi racconta con grande padronanza l’amore che ci rende senza difese, stupidi e felici quando ci sentiamo un pianeta e una stella e pensiamo voglio solamente diventare deficiente e farmi male. In Le biciclette ci offre un’immagine semplice, eppure potentissima, quando dice vorrei che fossi […] sull’orizzonte di questo letto.

Ma l’affetto non è l’unica cosa di cui sappia scrivere bene Fulminacci, che diventa anche più sorprendente nei pezzi più pungenti. In Un fatto tuo personale, nato dalla collaborazione con Frenetik&Orang3, ci dà il benvenuto nell’era del sogno più grande del mondo che diventa piccolo, e chissà qual è il prossimo bullo che diventa un idolo. Parla di un’Italia in cui vince il più furbo, chi non paga le tasse, un Paese che se c’hai dei sogni li spezza a metà.

L’artista denuncia in una delle canzoni migliori del disco, Forte la banda, il sistema italiano, che ci tiene così tanto che i giovani tengano i piedi per terra da legarceli con il cemento al suolo e fare di tutto per convincerci a non sognare. L’Italia in cui la creatività non esiste, l’arte non porta soldi, fare il musicista non è un vero lavoro. Infatti, la critica non è solo generica, ma anche focalizzata sul settore musicale: mio zio che è olandese dice che se fossi nato lì sarei di certo una rockstar.

Sono le dure – e giuste – parole di un giovane oggi, parole di una generazione che si sente sconfitta prima ancora di iniziare, che si è vista portare via il futuro quando era ancora un puntino all’orizzonte.

E con la situazione attuale e il mondo che crolla a pezzi, a volte abbiamo bisogno di rifugiarci nel passato, di tornare dove non andavamo da una vita. In San Giovanni cantava però io a casa non ci voglio tornare, in Meglio di Così Fulminacci si ricorda del passato, delle gite, di che belle certe sere con gli amici miei, non so era settembre, agosto, giù di lì; ti ricordi di me?

Perché, nella nostra generazione, anche se il mondo forse sta finendo, anche se il dolore non passa mai, se stanotte siamo tutti insieme, a noi va bene rimanere qui. E la vita fa meno paura.