Ex Polvere: “Sono post senza mai essere stato ex” | Intervista
Ex Polvere è un cantautore nato in Sicilia e trapiantato a Bologna, influenzato tanto dalla musica indipendente degli anni ’80/’90 quanto dalla letteratura di frontiera. Per presentarlo useremo le sue stesse parole poichè descrivono perfettamente l’immaginario Ex Polvere.
“Potrei dire di essere post senza essere mai stato ex, ma credo in ogni quiete come nuovo inizio e nuova fine. Qualcuno ha detto che ogni cosa accade per la prima volta, ma in modo eterno. Allora posso dire di essere nato senza volerlo e a 23 anni posso dire di sentirmi soprattutto un apolide dello sguardo. Sarà l’essermi trovato a nascere in un’isola o anche il mio abbandonarla presto. Sarà che a emozionarmi sono più gli anni 80 che ho vissuto solo intellettualmente, piuttosto che questi anni 20 radioattivi e cancerogeni. Ma ci è stata affidata quest’epoca e conviene viverla. Non importa dove ci troviamo e cosa facciamo, ma come continuiamo a farlo.”
Il suo nuovo singolo “Soares” è da poco disponile ed abbiamo voluto conoscere meglio Ex Polvere, come artista e cantautore. Ecco cosa ci ha raccontato…
Intervistando Ex Polvere
Ti definisci “post senza mai essere stato ex”: parlaci di più della tua visione artistica e di Ex Polvere cantautore.
Qualcuno ha detto che si scrive sempre per fare la guerra a qualcun altro. Credo l’arte nasca sempre da un atto di violenza verso il circostante, quantomeno l’arte che mi interessa. Questo non significa che un’arte debba essere necessariamente bellicosa in senso fisico, un’arte violenta è un’arte silenziosa che mette in crisi canoni e forme costituite e dice che è bello quello che per gli altri è considerato osceno. Se dovessi definire la mia poetica direi che accarezza l’o-sceno, ciò che è fuori dalla scena e in un recinto diritto e interminabile.
Fare questo nella forma canzone è quasi una contraddizione (per fortuna), viva le contraddizioni. In realtà sono finito a scrivere canzoni senza neppure capirne il motivo, scrivevo e continuavo a lavorare molto più alla prosa e devo dire di essere sempre stato molto più intimo alla letteratura che non alla musica in senso stretto. Eppure la rabbia sfrenata e la possibilità di urlare con la mia gola quello che sento, di rendere letteralmente metallico ed elettrico quello che scrivo mi porta a dire determinate cose in un determinato modo.
Sai, mi capita poi di prendere posizioni scomode o trattare temi considerati dalla maggioranza delle persone da un solo unico punto di vista (spesso considerato liturgicamente salvifico). Non mi piace come ormai molti artisti trattino il loro pubblico come dei bambini a cui raccontare quello che vogliono ascoltare perché sono le strumentalizzate questioni del momento; questo non è fare arte. Quando scrivo so che devo comunicare qualcosa di serio, sia triste o meno, ma quantomeno che sia puro e, trattandosi di canzoni, il rischio è di essere tagliato fuori: non importa, niente è più artistico di amare le persone.
Perchè “Post senza mai essere stato ex?”
Ex indica una privazione, un mancato. Ma è anche movimento, liberazione, compimento forse disordinato e io credo che per vedersi meglio sia più necessario levare piuttosto che mettere, scoprirsi dentro senza riempirsi da fuori. Per vedere meglio bisogna soltanto guardare meglio e i miei occhi stanno bene soltanto in direzione ostinata e contraria, come ha detto qualcuno. Ma in qualche modo il doversi trovare da qualche parte è solo un modo di andarsene, per quanto mi riguarda scrivere significa lasciare dei segni rigidi nella polvere. Non credo in chi mi dice che la vita debba consistere nel vivere fino a prova contraria, vivere è ascoltare e riuscire a colorare di un colore più scuro il cielo che gocciola davanti a noi.
Esistono forse due tipi di artisti: quelli che dicono ciò che vogliono dire e quelli che dicono ciò che è rimasto loro da dire; non si tratta di due modi artistici diversi, ma di percezioni esistenziali, intellettuali ed emotive opposte e c’è una certa differenza. Io, per fortuna, credo di appartenere alla seconda cerchia, quella che fa meno rumore. Mi pare purtroppo ci sia un certo conformismo delle sensazioni sia in chi fa arte che in chi ne fruisce e questo è pericoloso, perché rende tutto identico e lascia passare per innovazioni della scena delle banalità ben sponsorizzate.
Cresciuto in Sicilia, amante del punk di fine XX° secolo, bilingue (portoghese) e studente a Bologna: ti senti un cittadino del mondo o il tuo cuore appartiene solo ad un luogo? Come ti ha influenzato tutto ciò?
A Bologna vivo da diversi anni, anche se mi trovo sempre da una parte o da un’altra d’Italia. Devo dire di aver lavorato in più contesti, poi si riducevano al mio habitat naturale (i locali), e alla fine mi sono reso conto di come a rendermi viva questa città siano state certe fascinazioni e certi incontri di una notte. Ho conosciuto persone bellissime che mi hanno lasciato qualche cosa, anche se neppure io saprei dirti cosa. Forse tutto questo si sente nelle mie canzoni; in questo periodo di chiusure illogiche e ingiuste è venuta meno la possibilità di percepire certe sensazioni, di osservare: la cosa che più mi ispira sono proprio le persone e forse certe conversazioni sono finite da qualche parte nei miei taccuini (ride).
Mi chiedevi dei luoghi? Beh, credo che apparterrò sempre a certe strade, a certi odori, ma credo che queste strade dove mi trovo a respirare potrebbero essere state qualsiasi altra strada. Viaggio tantissimo da solo. Dai viaggi di pochi km dietro casa, come ha detto Luigi Ghirri, a quelli trans atlantici e non passa poi molto. Trovo emozionante camminare nella periferia emiliana, dove i cinesi hanno nomi italiani e agli anziani davanti a una ex fabbrica di sigarette capita di fischiettare quando batte il sole sopra certe lamiere e sembra che le domeniche siano come fatte di argento quando il sole le accarezza. Come anche trovarmi in una città straniera e sconosciuta e scoprire che dall’altra parte del mondo esiste qualcuno che come te sta in un qualche modo entrando nella tua vita.
L’Emilia per Ex Polvere
In Emilia mi sembra incredibile soprattutto starci, come non sia niente o poco di quello che avevo letto o ascoltato. Emilia stanca, paranoica e industriale, Emilia di arci e osservatorio specializzato di tendenze nazionali. Emilia che viene prima: dal cinema di Antonioni al De Chirico di Ferrara, da Bassani a Pier Vittorio Tondelli con cui ho riso e pianto, da Celati a D’arzo; é come se per me si sia costruita una sorta di privilegiata via d’accesso o una nostalgia della lontananza. Nel mio caso sono cresciuto in una specie di deserto provinciale e allora è successo di dovermi popolare attraverso i film, i libri e la musica al punto da riconoscere come muovermi senza utilizzare alcun navigatore, riconoscevo certe cose e certi posti soltanto perché li avevo già ascoltati o letti da qualche parte: ho sempre visto l’orizzonte come una scenografia montata al contrario da rimettere a posto.
E poi gli incontri! Siamo abituati a credere come molte cose passino, io invece sento che pure le piccole cose, anche le più insignificanti siano ciò che rende tutto un po’ più intero: l’odore di una ragazza che ti corre accanto prima di perdere il bus o il colore della giacca di un passante in un qualche modo restano da qualche parte che non so… Forse, Proust…
“La verità è un Grand Hotel a Rimini” mi ha colpito…quindi la verità è lussureggiante, lussuriosa ma allo stesso tempo decadente e spesso finta?
È una strada per ricominciare. Non è soltanto una questione di mondanità e di luoghi profani. Cerco la spiritualità in ogni parte, è il mio mondo di sentire. Ogni tanto ci sono dei grandi scuotimenti e gli occhi si trasformano in delle specie di dighe. Quando ho scritto questa canzone ho come capito di aver creato un film muto e con una tensione stranissima. Potrebbe essere un omaggio a Fellini, ma è una suggestione. Per quanto si possa spogliarsi dei propri vestiti non si arriva mai a sentirne la distanza dal cuore senza prima provare a raschiarsi la pelle. È illusorio e umano identificarsi in qualcosa ed è tutto quello che da un senso infinito al nostro essere animali mortali e spirituali.
Verità significa vedere al di là del significato che noi diamo a quello che facciamo o vediamo con una certa vanità e spogliare lo specchio del nostro stesso volto con un altro a noi sconosciuto: capire che siamo soprattutto quello che non siamo.
CCCP, letteratura di frontiera, immaginario “diverso” dalla musica indie odierna…riallacciandomi alla prima domanda, potresti definirti un Pre-Indie e Post-Indipendente?
Fino a qualche anno fa si poteva ancora parlare di scena e di genere. Credo dipenda da quanto Velocemente e come sia cambiato il significato dell’indie, come chi dice che certi artisti sono commerciali: tutta l’arte è da sé commerciale. Il problema è di tipo etico ed estetico e, soprattutto, di coerenza intellettuale. Se essere indie significa dire quello che si vuole che si dica, scrivere quello che è comodo a cavallo della moda di turno e fingere una qualche forma di liricità allora non sono indie e non voglio esserlo.
Non credo neppure di fare pop, mi piace l’idea di dire determinate cose in un certo modo perché sento che vanno dette in quel modo. In Soares c’è dell’elettricità e non c’è un ritornello perché non voglio che ritorni un bel niente e la canzone doveva andare così, libera e triste senza ruffianeria. La prima parte della canzone è, appunto, una sorta di scherno a un certo indie adolescenziale che non ha il coraggio di definirsi pop e che si serve sempre delle stesse dinamiche testuali e sonore.
Onestamente non riesco ad ascoltarlo e ne percepisco tutto l’artificio televisivo in vista di un target dato e di audience di persone fondamentalmente distratte, mentre io credo che fare arte debba essere soprattutto fingere sinceramente e dire le cose come stanno, lasciare dei vortici e creare delle tempeste interne. Forse il vero grande problema di questo sistema consumista dell’arte è proprio quello di legittimare come superiore ciò che è facile da ascoltare e vuoto e di considerare inutile e noioso il resto, quello che per me è tutto quello che conta.
Potresti definire Ex Polvere un Pre-Indie e Post-Indipendente?
Ci sono tantissimi artisti che stimo e che sono, come dici, dei riferimenti fondamentali, ma provo una certa nausea per artisti cosiddetti indie che poi fanno musica da piagnisteo solo perché è diventato di moda essere tristi e depressi. Così si banalizza concettualmente il fenomeno e si minimizza un problema antropologico enorme costitutivo di questi tempi, facendo passare come avveniristico e importante ciò che è semplicemente brutto.
Si, direi di essere post-indipendente.
Sappiamo che stai lavorando su un album intero: ti va di anticiparci qualcosa?
Non so ancora quanto tempo mi porterò dietro. Certamente il prossimo singolo uscirà dopo l’estate, se sopravvivo. Il fatto di essere indipendente e senza alcuna etichetta mi permette di lavorare con maggiore libertà alle canzoni, ma ha anche certi limiti.
Si tratta di canzoni intime e caustiche, di rabbia e d’amore. Scrivo di pancia, ma con la pancia della testa. Parlano di certi sogni notturni che sono diventati parole come affreschi contorti. Anche se le cose contorte richiedono un poco di attenzione in più e alla fine la gente ti manda a fare in culo solo perché non gli interessa andare oltre e se ne frega di quello che dici se sei un nessuno, magari non ti ascolta neanche.
Quando saranno finite e complete proverò, forse, una certa tristezza perché non saranno più soltanto mie e questo significa esporsi alla possibilità di non essere capito…(ride).
Forse è proprio questo a renderle possibili, chissà.