Sushi pedalò | Indie Tales
Cosa hanno in comune il sushi ed il pedalò? Me.
Uno rappresenta la mia parte ribelle e l’altro le mie radici. Cosa li differenzia, invece? Il fatto che il primo lo mangio appena posso (non senza sensi di colpa), mentre sul secondo non ci sono ancora mai salita.
Da dove vengo io il pedalò è un must, come la mangiare la pizza a Napoli o andare sugli sci sulle Dolomiti.
Ma come tante altre cose del luogo in cui sono nata, non me lo sono mai filato. Ho da sempre combattuto contro ciò che dovrebbe appartenermi; al contrario, sono sempre stata attratta da ciò che è nuovo, diverso e sconosciuto.
Trovo estremamente pesante la mia cultura. Il dialetto stretto di mia nonna, il fiume che non smette mai di scorrere, le malelingue, la polenta.
D’altro canto, ho sempre avvertito un brivido alla bocca dello stomaco quando facevo qualcosa di anti-conformista e vicino ad etnie diverse dalla mia. Vuoi o non vuoi, i “te see burlaa gio dal cadregott” di mia nonne mi erano entrati dentro, scavando il mio retro cranio tipo goccia cinese. “Sei caduta dalla sedia, per caso?” questo significa quella frase impronunciabile, come a dire “perché continui a fare queste cose insensate?”.
Ammetto di aver sempre dato del filo da torcere alla mia famiglia. Ma solo perché li trovavo indigesti, come la maggior parte delle persone del Ticino. Mi è sono sempre stati stretti, ma sapevo anche che avrei sempre potuto contare su di loro.
Penso che sia così un po’ per tutti. Mordere la mano che ci dà da mangiare viene naturale nel momento in cui si comincia a pensare che ce ne possano essere altre.
Oggi non è più così, o almeno non del tutto. Il mio senso di appartenenza al Ticino è forte, ma il sushi è ancora il mio cibo preferito. Odio la polenta, ma quando mangio il sushi mi sento sempre in colpa. Mi ricorda la mia voglia di esplorare luoghi diversi, rammentandomi l’odio sottile che ancora provo per la mia città.
Non è così male qui, in fondo. E non lo dico solo perché mi sono innamorata di una persona della mia stesa provincia. Ok, forse l’aver realizzato che non odio proprio tutti qui mi ha resa meno severa nei confronti di questi luoghi. Forse tenere la mano ad un compaesano mi ha resa meno ostile alle rive del mio fiume.
Ho riscoperto il romancio (il dialetto della mia zona) e il suo potere. Non è così male parlarlo, soprattutto se lo si usa per dire cose romantiche.
Tutti pensavano che, non appena ne avessi avuto la possibilità, sarei fuggita altrove. Magari in Giappone, la patria di rolls e temaki. Invece eccomi qua, a dire smancerie in romancio e a mangiare la polenta la domenica.
Sul pedalò, però non ci salgo. E che diamine.
Amo e odio questi posti, ma il piattume, a volte, può essere rassicurante.
Racconto liberamente ispirato al brano “Sushi pedalò” di Shindo