Andate Tutti Affanculo | Indie Tales

Di Filippo Micalizzi

Come ogni sera, prima di andare a dormire, Leonardo fuma un’ultima sigaretta in balcone. Quei dieci minuti nel totale silenzio della notte sono per lui indispensabili. È solo tramite questi che riesce a dar voce alla propria coscienza, sgrassarsi di dosso tutto il lerciume accumulato durante il giorno e riuscire finalmente a riposare.

Tuttavia, quei dieci minuti non bastano più. C’è un pensiero fisso che proprio non riesce a levarsi dalla mente. Continua ad interrogarsi sul perché sia l’unico, tra chi lo circonda, a provare così tanta avversione nei confronti della società e di chi continua imperterrito a sguazzarci dentro, alimentandone la portata giorno dopo giorno. Non comprende come sia possibile che qualcuno arrivi ad essere così stupido da farsi fregare da dei falsi miti, i così detti “nati vincenti”, fino ad arrivare a idolatrarli ed imitarli. Quasi come fossero i nuovi dei di questo millennio, che al posto di saette e martelli magici, preferiscono tenere in mano degli smartphone.

Oppure pensa a quanto sia inutile criticare o elogiare ogni dannata cosa su questo pianeta. Chissà perché c’è il bisogno di un parere su tutto, nessuno che riesce a tenere la bocca chiusa. Ad ogni azione corrisponde sempre un “secondo me”. Il problema sta nel sopravvalutare. Tendiamo ad appesantire ciò che in realtà è leggero di per sé, come ad esempio, quando guardando un dipinto che ritrae della frutta non riesci a percepirne il “significato filosofico” descritto da qualcuno che pensa di saperne di più di tutti, e allora vieni additato come ignorante. Poi magari va a finire che il pittore mentre dipingeva quel quadro stesse semplicemente pensando a della fottuta frutta. Ma l’arte alla fine cos’è se non pensiero che esce dal corpo. Ne più e ne meno, come lo sterco.

Leonardo si sente costantemente oppresso e sotto esame, l’unico modo che gli viene consentito di vivere è lo stesso in cui vivono gli altri, nessuna zona grigia è ammessa. Qualsiasi altro interesse o pensiero che si discosta da quello comune viene subito messo a tacere, come un ingranaggio difettoso da sostituire. Non riesce a fargli capire che ciò che rende felice loro, in lui provoca l’effetto contrario. Sembra che ad un certo punto della storia evolutiva, l’uomo abbia deciso di abbandonare totalmente l’empatia. Nessuno riesce più a mettersi nei panni dell’altro, nessuno riesce più a comprendere lo stato d’animo altrui.

Non ha idea del perché tutti questi pensieri si siano presentati proprio adesso e non prima, più che odiarne il contenuto, odia il fatto che non gli permettano di dormire. Pensa che palle, non solo deve sopportare tutta questa merda durante il giorno, adesso gli tocca farlo anche durante i momenti più intimi. Ma lui è fatto così, finché non trova la risposta non riesce a chiudere occhio. Fortunatamente anche stavolta la risposta l’ha trovata, ed è che banalmente non c’è risposta. Ripensando a tutto quello che si è detto ha finalmente capito di riconoscersi, pur in forme diverse, in tutto quello che fin ora ha criticato. Ha capito che infondo tutti facciamo parte del marcio, tutti cerchiamo di distaccarci dalla massa tentando in qualsiasi modo di convincerci di essere diversi e pretendiamo di poter dire a qualcun altro come gestire la propria vita. Nemmeno lui, che per tutto questo tempo si è lamentato della mancanza di empatia riesce a provarla nei confronti di chi tanto si ostina a criticare.

Siamo tutti dei presuntuosi desiderosi di trovare una risposta a tutto. Lo facciamo per non ammettere a noi stessi di essere soltanto una frazione di secondo all’interno della totale esistenza. Per farci un favore, l’unica cosa che dovremmo fare è andare tutti affanculo.

Racconto liberamente ispirato al brano “Andate tutti affanculo” degli Zen Circus