“Novecento” tra nostalgia e leggerezza di Francesco Aubry | Intervista

“Novecento”, pubblicato il 10 settembre, è il nuovo brano firmato da Francesco Aubry. E’ un pezzo pop sospeso tra sonorità britanniche e giri armonici che strizzano l’occhio alla classica canzone Italiana, soprattutto nel ritornello. Un riff del piano elettrico Wurlitzer apre la canzone che dopo le prime strofe riserva diverse sorprese nell’arrangiamento, con cambi di stile e di accordi inaspettati. Si passa dalla ballad alla dance ad un inciso pianoforte e violino nel giro di pochi versi. Le scelte stilistiche confermano la volontà di Aubry di giocare con i generi musicali decontestualizzandoli e manipolandoli a proprio piacimento, mantenendo però sempre un’ impronta molto personale.

Francesco Aubry è un cantautore, strumentista, tastierista. Con un’innata passione per i sintetizzatori vintage è molto attivo da tempo nei live del territorio torinese. Negli ultimi anni ha intrapreso il proprio percorso da solista. Amante della sperimentazione, suona e arrangia ogni strumento delle proprie canzoni, ama spaziare fra i generi senza rimanere confinato in una unica zona..

Intervistando Francesco Aubry

“Novecento” è un po’ una critica al sistema musicale italiano tutto uguale?

In realtà l’intenzione è più quella di un omaggio al passato piuttosto che la critica al presente, salvo una frecciatina nei primi versi al filone Trap. In cuor mio avrei tanto da dire e scrivere su un sistema secondo me “malato”. Credo però che un testo aggressivo non avrebbe funzionato su un pezzo come questo, intenzionalmente leggero e disincantato.

Alla fine del videoclip troviamo il “Novecento” riunito a tavola: ma se dovessi scegliere una sola di quelle icone per una cena da soli, quale sarebbe e perchè?

Anche se non era a tavola ma l’ho citato nei ritornelli: Freddie Mercury. È il mio idolo numero uno, cantante inimitabile, performer eccezionale e (cosa spesso sottovalutata) un autore incredibile: ci sono dei capolavori nei primi album dei Queen come Fairy King, Lily of the valley, The milionaire waltz o You take my breath away che ti lasciano letteralmente senza parole. Quando ne ho studiato gli arrangiamenti e le armonie sul piano non riuscivo a non ripetermi “ma come diavolo ha fatto a pensare a questo passaggio, non è possibile…” ed è così ogni volta che risuono i suoi pezzi.

Da cosa nasce l’ideale trilogia con 1985 e DNA? L’hai cercata oppure lei ha trovato te?

La seconda: a un certo punto del percorso mi era chiara la direzione che avevo intrapreso e (complice l’amore per i concept album anni ’70) ho cercato di delineare dei concetti che accomunassero i vari brani nelle tematiche. In futuro spazierò sicuramente su altri argomenti perché non vorrei poi essere etichettato e restare ingabbiato in un personaggio mono-tematico.

Sei alle prese con le incisioni del tuo prossimo EP: vuoi darci qualche anticipazione?

Pur essendo composto da soli 6 brani sarà molto variegato, il primo durerà circa un minuto e mezzo, mentre il più lungo 6 minuti e sembreranno scritti in luoghi ed epoche molto distanti tra loro.
Nei testi passerò dal raccontare vicende molto circoscritte fino ad allargare la prospettiva verso temi esistenziali.
Sarà il mio personale punto di vista sui tempi che viviamo osservati dagli occhi di chi è partito da un mondo molto diverso e vive oggi un certo distacco generazionale.
Il sound confermerà il pop-rock farcito di sintetizzatori ma ci sarà spazio anche per qualche richiamo al progressive rock

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