Narratore Urbano: “233 gradi centigradi” servono per bruciare il nostro futuro

Narratore Urbano: “233 gradi centigradi” servono per bruciare il nostro futuro

Potremmo definire Narratore Urbano come un artista preapocalittico perché nelle sue canzoni analizza la realtà con crudele cinismo e verità, attraversando una città pronta a collassare su se stessa tra crisi climatica, lotte sociali, disoccupazione e cattive politiche giusto per citare alcune criticità del nostro oggi.

Me lo immagino mentre torna a casa a tarda notte, con le parole nel cervello pronte ad essere buttate su una fila di note che le decodificano trasformando in canzoni dure d’ascoltare perché così reali da far paura. Un artista che vuole seguire la sua filosofia, con il rischio di rompere quella barriera di finta felicità e stupidi tormentoni che piacciono tanto alle classifiche, diventando però un antieroe del nostro tempo che non nasconde di aver paura del domani, quando il futuro brucerà alla temperatura di “223 gradi centigradi”.

INTERVISTANDO NARRATORE URBANO

Sognare troppo può essere un sintomo di insoddisfazione?

Decisamente. Infatti sto cercando almeno nel mio piccolo di limitarmi alle esperienze tangibili e afferrabili
senza pensare troppo in grande, costruendo la mia vita (anche al di fuori della musica) un passo alla volta, senza desiderare cose che puntualmente verrebbero disattese.

La democrazia porta ad una deresponsabilizzazione delle varie scelte, e di conseguenze quando qualcosa
non va diamo prima la colpa agli altri piuttosto che a noi stessi?

È la nostra quotidiana realtà. Quante volte abbiamo criticato le scelte del governo nella nostra vita non
rendendoci conto che quello stesso governo si è ritrovato a governare come conseguenza delle nostre
azioni?

Quante volte abbiamo criticato medici, ingegneri e architetti senza renderci conto di essere noi i
primi artefici delle nostre scelte?

Quante volte abbiamo addossato la colpa di qualcosa a dei nostri amici quando a prendere decisioni scellerate siamo stati noi?

“233 Gradi Centigradi”, anche grazie alla presenza di Rossana De Pace, è un dialogo tra ragione e
sentimento?

Forse, non saprei.
Io l’ho vista più come un dialogo tra due persone consapevoli di un mondo al collasso, la dicotomia di austeniana memoria non so quanto possa fare parte di questo brano. Forse è più un dialogo tra passato e presente, ma lascio che ognuno possa interpretare liberamente.

 

Spesso nelle tue canzoni ci sono voci in sottofondo, dialoghi, citazioni di film, come mai questa scelta?

È un modo per creare contesto, per dare alla musica il suo spazio umano, distogliere quel clima asettico che si crea in studio dove tutto deve suonare perfetto anche se noi siamo umani e la perfezione non ci appartiene.

E poi serve soprattutto a sottolineare il fatto che ognuno è il narratore urbano di se stesso, io
non sono altro che un ladro che si è appropriato di un nome e di una funzione dell’inconscio che abbiamo
tutti e l’ha portata ad essere ascoltabile su Spotify.

Torino ha dei “quartieri troppo distratti per tendere l’orecchio”?

In generale le zone centrali di qualsiasi città sono sempre impegnate ad autocelebrarsi e non si rendono
conto di ciò che accade attorno. Ma nel caso specifico di “Zenzero” da cui la citazione è tratta, si fa riferimento alla situazione della musica in Italia, e dell’ascoltatore medio che essendo troppo spesso focalizzato sulle grandi vetrine, si dimentica dei piccoli artisti essendo troppo distratti per tendere l’orecchio e ascoltare.

Il lavoro in Italia è più un’utopia o una distopia?

“Questa è l’Italia del futuro, un paese di musichette mentre fuori c’è la morte”. Se alle musichette si
sostituiscono i lavoretti part-time pagati una miseria o retribuite in visibilità ed esperienza, come se fossero
i videogiochi a punti, si ha un chiaro e nitido quadro del catastrofico e distopico mondo del lavoro in Italia

Il problema essenzialmente investe le nuovissime generazioni e nasce da un infinità di fattori irrisolti.

È meglio stare male facendo quello che ci piace o stare bene facendo cose che odiamo?

Una domanda a cui non saprei dare una risposta definita. Un mese fa ti avrei detto la prima sicuramente.
Ma ora non mi sento di dare questa certezza: ho notato che se stiamo male facendo qualcosa che ci piace,
questo qualcosa lo iniziamo ad odiare fortemente, per cui forse non è questa la risposta. Sto ancora
ricercando.

Prima o poi il nostro modo di vivere collasserà su stesso, ma secondo te ce ne accorgeremo o continueremo
a far finta di niente?

Stiamo già continuando a far finta di niente mentre il mondo sta collassando. Al massimo ci limitiamo a una
flebile presa di visione dei fatti, ricondividendo qualche notizia sporadica nel nostro feed. Perché la
situazione dovrebbe cambiare? È già di fronte agli occhi di tutti che stiamo andando alla deriva, ma non c’è
una presa di posizione in merito.

Citando la hit sanremese di Di Martino e Colapesce la tua non è “Musica leggera?

Non penso. Se lo fosse, conoscendo l’andamento dei gusti italiani medi, sarebbe molto più facile avere
maggiori riscontri di quelli che ho al momento.

Ma a me va bene così. Meglio avere meno persone che
apprezzano quello che fai piuttosto che gente che ti ascolta a caso in radio senza saperti collocare, così per
consumo.

ASCOLTA NARRATORE URBANO NELLE PLAYLIST DI INDIE ITALIA MAG

https://open.spotify.com/playlist/3wTjkWyaYQxky8BHNA6JmK?si=916814d18b78472e

 

https://open.spotify.com/playlist/6hsETzcjCY7R3krHUePwMl?si=96be93d6b9f94fd2