Ed Wayback: Bisogna godersi ogni istante perché il tempo non torna

Con il singolo “A dio o all’universo” Ed Wayback ritorna sulle scene dopo una pausa di qualche anno. Con la scusa della pandemia che è caduta adosso alla nostra routine precedente ha capito che alcune sensazioni non si possono lasciare nel cassetto, ma bisogna tirarle fuori nella maniere in cui si preferisce.

La musica diventa così sfogo e terapia per affrontare ogni giorno a 100 all’ora, con la consapevolezza che ogni istante è unico e che alcuni momenti possiamo conservarli come ricordi, ma non riviverli nuovamente quando si trasportare dai gironi che volano via.

Citando John Lennon, “la vita è quello che ti accade mentre sei impegnato in altri progetti” per questo motivo è fondamentale sfruttare ogni occasione.

INTERVISTANDO ED WAYBACK

Chi è Ed Wayback e da cosa deriva questo nome?

Ed Wayback è a tutti gli effetti il mio alter-ego che scrive canzoni, forse perché per essere veramente se stessi a volte c’è bisogno di far finta di essere qualcun altro.

Le prime canzoni che scrissi a 15 anni erano in inglese, una lingua molto più musicale rispetto all’italiano, che risulta più immediato ma sicuramente più ostico da affrontare in fase di scrittura (sembra un po’ tutto banale!). In una di queste, un po’ per caso o per gioco, avevo usato la parola wayback, strada del ritorno. Me innamorai subito, pensando che l’accoppiata con il mio nome fosse molto evocativa per il tipo di genere che suono. E poi, è l’ennesimo omaggio a Back to the Future. Quindi non potevo che farlo mio.

“Adesso non parlerò, almeno per un po’ ” canti nel nuovo singolo, cos’hai fatto tra il 2015, anno di uscita dell’Ep “Volume Interno”, e oggi?

Da un lato ho portato su tanti palchi le canzoni del mio EP, dall’altro ho anche vissuto un blocco della scrittura abbastanza importante. Ho deciso quindi di concentrarmi su altro, concludendo ad esempio il mio percorso universitario, ma comunque non abbandonando mai realmente la scrittura, soprattutto perché il modo migliore per superarlo credo sia proprio quello di continuare a riprovarci, senza sosta: come diceva John Lennon, “la vita è quello che ti accade mentre sei impegnato in altri progetti”. E posso confermare che aveva dannatamente ragione.

Perché ci sono artisti che vanno in crisi con il successo?

Penso che l’esposizione mediatica, soprattutto quando caduta dal cielo da un momento all’altro, possa essere deleteria per chiunque. Forse la sana e vecchia gavetta aiuta anche a questo: farsi trovare pronto e non perdere la testa in queste situazioni. 

Con A Dio o all’Universo hai affrontato per la prima volta anche la parte di produzione di un brano. Raccontaci di più su questa scelta.

A marzo del 2020 siamo stati tutti costretti a chiuderci in casa. Nonostante le notizie dal mondo esterno non fossero rassicuranti, ho deciso di immergermi totalmente nella musica, sia dal punto di vista della scrittura sia della produzione di nuove canzoni, sfruttando così a pieno la possibilità di potermici dedicare 24 ore su 24. La parte più affascinante di questo lavoro è la possibilità di plasmare la canzone proprio come la si era immaginata nel momento in cui è stata scritta, senza l’interposizione di altre persone. E così quei brani, che prima erano solo demo provvisorie, sono poi diventati canzoni a tutti gli effetti.

Quali sono tre desideri che vorresti realizzare?

Pubblicare nuova musica, incontrare uno sconosciuto per strada che sappia a memoria il testo di una mia canzone, avere sempre la possibilità di continuare a fare ciò che mi rende felice.

La nostra società riuscirà mai ad accettare la morte?

La società sì, ed anche troppo: spesso ci si commuove per una storia portata all’attenzione dai media, ma dopo qualche ora è già tutto dimenticato. 

È l’essere umano che spesso non riesce ad accettarla, soprattutto quando viene colpito da vicino. In questo caso il tempo è un grande (e forse l’unico) aiuto.

La musica negli ultimi anni sta vivendo una fase di omologazione nella quale un artista, anche inconsciamente tende ad assomigliare ad un altro?

Assolutamente sì, ma non credo sia necessariamente un male. L’arte deve essere capace di rinnovarsi sempre, e in questo caso la commistione di vari generi può essere anche un atto creativo.

A Dio o all’Universo è un singolo a sé stante o farà parte di un album a cui stai già lavorando?

Dopo tutto questo tempo di silenzio, A Dio o all’Universo è il singolo che mi ha regalato nuova linfa per ripartire. Con il mercato discografico attuale, penso che per un emergente sia meglio pubblicare tanti singoli anziché un album completo, che in questo “usa e getta” che sta diventando la musica odierna verrebbe un po’ perso negli angoli degli stores digitali. Ovviamente ho già in cantiere altre canzoni, e spero di poterle pubblicare al più presto. E perché no, in futuro anche riunirle tutte in un album.

Cosa vorresti fare l’ultimo giorno della tua vita?

Sarò banale, ma come chiunque mi piacerebbe fare qualcosa che mi renda felice. Diciamo che, se proprio dovessi scegliere, essere appena sceso dal palco dell’arena di Verona potrebbe essere un “buon” momento.

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