Inquiete: “Siamo tutti pesci fuor d’acqua” | Intervista

La nostra generazione e quelle più giovani devono abituarsi a convivere con le incertezze dato che i cambiamenti momentanei e la precarietà della nostra società di oggi, ogni giorno ci mette di fronte a situazioni che possono variare nel tempo, con il posto fisso che diventa spesso un miraggio da inseguire.

Gli Inquiete sono una band genovese, che, prendendo spunto dal capoluogo ligure e dalle sue bellissime contraddizioni,  racconta senza vergogna storie di fragilità e insicurezze che almeno un volta nella vita ognuno di noi ha vissuto. Questa volta è diverso perché se spesso, magari per paura o imbarazzo,  si è preferito ingoiare anche a fatica,  facendo finta di nulla, nelle loro canzoni sono una preziosa linfa vitale.

L’ultimo singolo dal titolo “Non è il mio posto”, in collaborazione con la cantautrice Irene Buselli, è un amaro sfogo dedicato a tutti coloro che sono dove sono, ma vorrebbero essere da un’altra parte anche se non hanno i mezzi o il coraggio per provare a cambiare vita per cercare di trovare uno spazio dove poter urlare la propria felicità.

In questo brano, come in tutto il disco da titolo “Un’ ora d’aria”, è forte l’esigenza di usare la musica come via di fuga e ancora di salvezza per non sprofondare all’interno di tutto quello che ogni giorno scegliamo di accettare contro voglia, perché non possiamo permetterci la strada alternativa.

E il merito degli Inquiete è  quello di riuscire ad affrontare questi temi evitando di piangersi addosso, ma trovando dentro la propria passione un luogo sicuro nel quale sentirsi orgogliosamente se stessi.

 

INTERVISTANDO INQUIETE

I giovani d’oggi spesso si sentono dei pesci fuor d’acqua?

Non pensiamo sia una caratteristica solo dei giovani, la società ha dei ruoli e dei mestieri di cui ha bisogno e che vengono più o meno valorizzati, riconosciuti e retribuiti. Non c’è posto per tutti, a qualunque età ci sono persone il cui potenziale viene solo parzialmente o totalmente inutilizzato, non per volontà del singolo, ma per mancanza di mezzi. Nei giovani forse questo é più marcato, probabilmente perché tanti ancora non intravedono lo spazio che invece riusciranno ad avere e sentono già addosso la frustrazione di chi invece quello spazio non lo troverà mai.

Per quanto riguarda noi, ci sentiamo pesci fuor d’acqua perché viviamo in un mondo con un libretto di istruzioni desueto, con regole scritte da altri che non si preoccupano del mondo che ci lasceranno. Vediamo però che nella nostra generazione c’è una particolare voglia di provare a farlo nostro o quantomeno di voler cambiare le cose per cercare di renderlo un posto che non sará mai perfetto, ma perlomeno leggermente migliore di come ci è stato lasciato.

Esiste un posto che vi ricorda Genova?

Anna: Sentimentalmente? Genova è unica.

Gui: Personalmente Genova ha una sua unicitá data dal fatto che non conosco un posto meglio di lei. Forse tutte le cittá portuali si assomigliano anche se hanno tutte interpretato a modo loro la vicinanza col mare.

Pippo: Sicuramente Anna ha ragione, Genova ha il suo posto intoccabile nel mio cuore. Però devo dire che Lisbona me l’ha ricordata parecchio: per quanto sia una città immensa, le sue casette strette e le strade in mattonata mi hanno ricordato i vicoli. Dei vicoli immensi. 

Alby: Boh, forse Trieste?

A volte bisognerebbe vivere mantenendo un distacco emotivo dalla realtà?

Ogni tanto fa bene guardarsi dall’esterno, estraniarsi dai pensieri che ogni giorno ci rapiscono e ci stressano per vedere quanto i problemi di ogni giorno siano piccoli e frutto dei nostri costrutti sociali. D’altronde siamo scimmie vestite, fa bene non prendersi troppo sul serio.

Le poesie di Montale vi hanno ispirato nella scrittura di “Marmo”?

Non direttamente, scrivendo “Marmo” le reference a cui abbiamo attinto maggiormente sono più musicali che poetiche. Forse più in altri brani, l’idea che la vita sia “seguitare una muraglia che in cima ha cocci aguzzi di bottiglia” l’abbiamo provata ad esprimere, forse in un modo non del tutto riuscito, in brani come “Troppi occhi”.

In quale ossimoro vi riconoscete di più?

Fa un po’ sorridere quando si dice un “rumore sordo”.

Certe sofferenze non dovrebbero essere mai dimenticate, ma dovrebbero servire da promemoria?

Ogni esperienza dimenticata o non metabolizzata è un’occasione di crescita persa. Metabolizzare e rielaborare qualsiasi esperienza vissuta intensamente é fondamentale per acquisire consapevolezza per poter affrontare meglio le avversità future.

Scommetto che l’autunno è la vostra stagione preferita, ho ragione?

Pippo: Ma perché mai, come Jacopo dei Fine Before You Came, posso dire che neanche io ho mai capito settembre. L’estate è un momento bellissimo, quando dopo una giornata di studio o lavoro vai a berti le birre in spiaggia con gli amici. Perché non dovrebbe essere la nostra preferita? 

Gui: Primavera perché dopo tutto il lungo inverno la natura ti ricorda che la vita non è buio, freddo e tè caldi ma è anche rinascita ed esplosioni di bellezza.

Anna: Primavera.

Alby: Non esattamente, direi più l’estate, non sembra ma l’estate può essere molto malinconica.

“Un’ora d’aria” è la via che avete scelto per scappare dall’insoddisfazione?

Più che dall’insoddisfazione dai compromessi che ti costringono a riempire il tuo tempo di tante cose di cui faresti volentieri a meno. Un’ora d’aria possono anche essere 10 minuti che trovi per leggere un libro che ti piace, camminare per una strada diversa, prendersi un gelato o ascoltare una canzone.

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