Nine Perfect Strangers: la “bellezza” dell’usato sicuro | Serie Tv

È una serie giovane quella prodotta da Hulu, che decide di non osare. O quantomeno di non farlo del tutto. Dal 20 Agosto 2021, infatti, escono le prime tre puntate che tracciano una strada ben precisa: una strada che non ammette deviazioni, e nemmeno equivoci. Una strada chiara e luminosa, come la fotografia satura e le riprese di un’architettura – e di una natura – luccicanti ben oltre il verosimile.

La miniserie creata da David E. Kelley e da John Henry Butterworth – senza dimenticare la sempre meravigliosa Nicole Kidman – alle prese con un adattamento non così impegnativo, almeno sulla carta. Nine Perfect Strangers è il titolo di un libro uscito nel 2018, scritto da Liane Moriarty.

E di un libro conserva la struttura “a capitoli”, che aiutano il lettore/spettatore ad approfondire i background dei vari personaggi, i loro pensieri, le loro abitudini. Le loro paure. Ma c’è di più dietro a questo approfondimento. La volontà di intrecciare i loro traumi per creare un tessuto che li aiuti a ritrovarsi, per una volta, non più da soli: il titolo – Nine Perfect Strangers – aiuta subito a inquadrare la situazione di partenza. Questo vuole fare la direttrice di un centro benessere, almeno sulla carta: dimostrare a tutti che equilibrio e tranquillità si trovano quando si è parte di un tutto. Ma le cose prendono una piega diversa.

Conoscere il conoscibile: la trama

La partenza è una partenza classica: si inizia con un tema che tutti conosciamo, e che tutti abbiamo già visto tantissime volte. Il viaggio. Nine Perfect Strangers – nove perfetti sconosciuti – che si avvicinano a una struttura lontana da tutto e da tutti. Qualcuno dice che il centro benessere in cui vanno “Non è sui social”: il massimo esempio di distanziamento possibile dal mondo di oggi.

Nine Perfect Strangers che arrivano da nove direzioni diverse, in nove momenti diversi, con mezzi di trasporto diversi: sono piccoli fili tesi all’inverosimile che tendono tutti a riunirsi verso un solo centro. Una buona partenza. Se solo non fosse qualcosa che tutti noi abbiamo visto ormai tante, forse troppe volte. A partire da “10 piccoli indiani” di Agatha Christie passando per film di una certa età – ma sempre meravigliosi – come “L’angelo sterminatore” di Bunuel o “La parola ai giurati” di Lumet la situazione è sempre quella. Nine Perfect Strangers prende una soluzione che abbiamo già visto, e l’abbiamo vista anche di recente con i vari “Saw” e “The Cube”. Ma in questa serie è l’ambientazione che cambia tutto.

Perché l’elemento innovativo è il luogo. Tranquillum House. Luogo di lusso, con esperti bellissimi e stanze bellissime. Intorno al centro benessere c’è un giardino stupendo, con la luce del sole che colpisce la piscina e gli ambienti per fare yoga e meditazione in puro legno. Perché i nostri Nine Perfect Strangers stanno andando in un centro benessere di cui nessuno sa nulla, governato con pugno di ferro da una direttrice misteriosa (Nicole Kidman) per risolvere i propri traumi. La storia è questa. Ma qualcosa deve pure fare la differenza, e questo qualcosa è il centro benessere stesso, per come è stato pensato con la sua natura, con le sue stranezze, e con il suo lusso.

Un luogo che tutti ormai conosciamo, e che ha fatto breccia nell’immaginario collettivo. Un luogo che nasce e cresce intorno all’altro punto di forza/debolezza di questa contraddittoria, a tratti indecifrabile serie. Che mescola thriller e dramma, colori e buio. La voglia di un racconto esemplare, quasi formativo, e la natura di una narrazione che si mostra solo per quello che è: una storia che vuole raccontare. E vuole raccontare il secondo pilastro su cui si fonda Nine Perfect Strangers. I personaggi.

Una scommessa molto poco azzardata: i personaggi

Una scommessa molto poco azzardata perché in Nine Perfect Strangers anche i personaggi, a volerla dire tutta, non sono niente di nuovo. I cliché sono quelli, e la serie non li nasconde di certo:

  • l’ex atleta (Bobby Cannavale);
  • la scrittrice in declino (Melissa McCarthy);
  • la donna sofferente dopo il tradimento del marito (Regina Hall);
  • l’omosessuale con una storia appena chiusa alle spalle (Luke Evans).

Tutto apparecchiato per una miniserie piatta e noiosa: il cast di spessore assoluto sembra quasi confermarlo. Quando l’idea è debole, ci si aggrappa agli attori migliori che si trovano in giro, a partire da Nicole Kidman che ritorna con un’energia fuori dal comune. E allora ecco che una scrittura narrativa piuttosto evanescente riesce a fare qualcosa di sempre più raro al giorno d’oggi nel panorama multimediale: lascia spazio alle evoluzioni dei personaggi.

Colpi di scena, musiche incalzanti e sangue per una volta passano in secondo piano. Basta scene d’azione con il green screen, basta a scazzottate spettacolari con voli di 10 metri. Nine Perfect Strangers ha il grandissimo merito di focalizzarsi sull’uomo e sulla donna di oggi: di dare il giusto peso al loro corpo, ma non solo. Danno il giusto peso ai disagi che sono anche i nostri disagi: la paura di non avere uno scopo nella vita, la dipendenza dai social, il terrore di non riuscire a superare la fine di una relazione.

E la serie non dà un peso solo in senso metaforico alla questione: tu, spettatore/lettore, senti su di te, sul tuo collo e sulla tua schiena, la fatica dei personaggi che cercano di scuotersi di dosso tutte le loro zavorre. Li vedi dimenarsi come pesci catturati in una rete, li vedi soffrire e li vedi lottare, e una parte di te lotta con loro.  A questo ha portato Nine Perfect Strangers. A uno scenario di totale immedesimazione, e il merito gli va dato tutto. E va dato anche agli attori, che hanno incarnato perfettamente – e spesso sono andati oltre – il copione.

I personaggi infatti hanno il tempo di crescere, di lottare contro le regole, contro l’ambiente, contro se stessi e contro gli altri per compiere un atto tra i più difficili nell’era in cui ci troviamo: riaffermare se stessi. Accettarsi. Forse Tranquillum House voleva fare quello. Ma qui rimane il problema della serie, che ci riporta al titolo: una scommessa molto poco azzardata. Si sono affidati a grandissimi attori per mascherare qualcosa che non va. Perché questo problema sempre di più, ormai, infetta le storie che passano suo nostri schermi.

Nine Perfect Strangers è lo specchio dei prodotti di oggi: una storia che viene raccontata a metà

È un miscuglio. Di generi. Tra thriller, dramma, comedy e un pizzico di horror che rimane in sospeso, come una parola non detta. Di stili. Tra inquadrature a campo largo, flashback registrati da una telecamera “mossa”, luci sature e bui troppo bui.

L’idea è interessante, molto interessante. Le basi c’erano tutte per creare un racconto introspettivo, che lasciasse il segno. Ma purtroppo non è bastato. La paura di creare un prodotto che non piacesse al pubblico generalista ha portato di nuovo a una storia che ha tanti – forse troppi – miscugli. Il cast, la fotografia e le inquadrature sui personaggi, però, salvano molto, se non tutto. Un prodotto da vedere, perché tra le sue mille contraddizioni si è preso un istante per fare un respiro profondo e cercare quel particolare nei suoi personaggi, nelle loro lacrime e nelle loro risate, nella stranezza della direttrice e nella rabbia di un ex atleta che non ce l’ha fatta. Un istante che non andrà sprecato, perché vi regalerà la cosa più preziosa che una serie può fare al giorno d’oggi: offrirvi spunti su cui riflettere. E al giorno d’oggi non è una cosa da dare per scontata. Proprio per niente.